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IL VALORE DEL TEMPO

"Che cos'è il tempo ?
Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più"  (Agostino , Confessiones XI,14): nella storia della nostra civiltà occidentale (e non solo di essa)si possono collazionare innumerevoli definizioni e ben differenziate interpretazioni della nozione di "tempo",avanzate da filosofi,letterati,poeti e scienziati, il che prova che le difficoltà dichiarate da Agostino nelle confessioni, lungi dall'essere un suo problema personale, provengono dall'oggettiva complessità di un concetto di uso tanto comune quanto ardua se ne è dimostrata la comprensione a livello sia metafisico sia esistenziale.
Il tema dello scorrere del tempo è uno dei temi ricorrenti in tutte le opere di Seneca, come punto centrale della sua filosofia stoica e del suo "progetto" di vita. In particolare il tema del tempo è affrontato in due opere di Seneca: le Epistulae ad Lucilium e il De brevitate vitae, che fa parte della raccolta dei Dialogi.
La concezione del tempo senecana è molto differente da quella elaborata dalla maggior parte degli uomini.
Merito di Seneca è senz'altro quello di aver elaborato con originalità espressiva quel tipo di concezione della vita a cui la concezione del tempo è strettamente connessa. Il tempo non va considerato solo nei suoi termini quantitativi, conta invece la qualità:in che modo impieghiamo il tempo, con quale animo viviamo, a quali obiettivi miriamo.
La prima opera a cui facciamo riferimento è il De brevitate vitae, composto secondo i calcoli degli storici tra il 49 e il 62 . E' un dialogo, anche se in realtà gli interventi dei pochi interlocutori si riducono a due o tre volte lungo tutta l'opera.
La vita, secondo Seneca non è breve, a patto che essa venga vissuta secondo l'ideale stoico dell'otium. L'otium, che è la base della filosofia stoica, è uno stile di vita basata sull'isolamento totale da ogni forma di occupazione, da ogni forma di negotium. Coloro che fondano la propria vita sul negotium, cioè riempiendola di occupazioni, di affari e di impegni, perdono inutilmente il loro tempo. Solo quando la morte sopraggiungerà gli affacendati si renderanno conto di essere vissuti e capiranno di non essere appartenuti a se stessi, ma alle cose. Per costoro la vita è breve, non per il tempo che effettivamente è passato, ma per come l'hanno vissuta o meglio non vissuta. Invece il saggio, che si estrania da ogni tipo di attività materiale per dedicarsi esclusivamente alla saggezza e alla virtù, si rende conto che la vita non è breve se vissuta pienamente. Tuttavia, come dice nel primo capitolo, non solo il volgo tende a preoccuparsi per il veloce passare del tempo, ma anche molti uomini illustri....




DE BREVITATE VITAE CAP.I

I.1 Maior pars mortalium Pauline de naturae malignitate conqueritur quod in exiguum aevi gignimur quod haec tam velociter tam rapide dati nobis temporis spatia decurrant adeo ut exceptis admodum pacis ceteros in ipso vitae apparatu vita destituat. Nec huic publico ut opinantur malo turba tantum et imprudens vulgus ingemuit; clarorum quoque virorum hic affectus querellas evocavit. 2 Inde illa maximi medicorum exclamatio est: "vitam brevem esse longam artem". Inde Aristotelis cum rerum natura exigentis minime conveniens sapienti viro lis: "aetatis illam animalibus tantum indulsisse ut quina aut dena saecula educerent homini in tam multa ac magna genito tanto citeriorem terminum stare." 3 Non exiguum temporis habemus sed multum perdidimus. Satis longa vita et in maximarum rerum consummationem large data est si tota bene collocaretur; sed ubi per luxum ac neglegentiam diffluit ubi nulli bonae rei impenditur ultima demum necessitate cogente quam ire non intelleximus transisse sentimus. 4 Ita est: non accipimus brevem vitam sed fecimus nec inopes eius sed prodigi sumus. Sicut amplae et regiae opes ubi ad malum dominum pervenerunt momento dissipantur at quamvis modicae si bono custodi traditae sunt usu crescunt: ita aetas nostra bene disponenti multum patet.

La maggior parte degli uomini, Paolino, protesta per l’avarizia della natura, perché siamo messi al mondo per un briciolo di tempo, perché i giorni a noi concessi scorrono così veloci e travolgenti che, eccetto pochissimi, gli altri sono abbandonati dalla vita proprio mentre si preparano a vivere. E di questa disgrazia, che credono comune, non si dolse solo la folla e il volgo sciocco: tale stato d’animo provocò la protesta anche di grandi uomini. Di qui l’esclamazione del più grande dei medici, che la vita è breve, l’arte è lunga; di qui l’accusa di Aristotele alle prese con la natura, indegna di un saggio, perché essa ha concesso agli animali di poter vivere cinque o dieci generazioni, e all’uomo, nato a tante e così grande cose, è fissato un termine tanto più breve. Non abbiamo poco tempo, ma ne abbiamo perduto molto. Abbastanza lunga è la vita e data con larghezza per la realizzazione delle cose più grandi, se fosse tutta messa bene a frutto; ma quando non si spende per nulla di buono, costretti dall’ultima necessità ci accorgiamo che è passato senza averne avvertito il passare. Sì: non riceviamo una vita breve, ma tale l’abbiamo resa, e non siamo poveri di essa, ma prodighi. Come ricchezze grandi e regali in mano a un cattivo padrone si volatizzano in un attimo, ma, per quanto modeste, se affidate a un buon amministratore, aumentano con l’impiego, così la durata della nostra vita per chi sa bene gestirla è molto estesa.


 ANALISI DEL TESTO
  1. Maior pars mortalium: bersaglio polemico tipico della diatriba dei cinici e degli stoici.
Pauline: Pompeo Paolino, prefetto dell’annona.
Conqueritur: lamento corale (con = prefisso sociativo), caratterizza gli erranti.
Quod…quod: anafora, con verbi all’indicativo e al congiuntivoàprogressivo di stanziamento dall’opinione dei più.
In ipso vitae apparatu vita destituat: gioco di parole che esprime situazione assurda.
Destituat, da destituere: lett scaricare, dal latino parlato.
Lettura sulla similitudine: valore cognitivo della sim usata in filosofia, valore argomentativo che procede per modelli analogici.
Ingemuit, da ingemisco.
Adfectus: stato d’animo moderatamente alterato che può evolversi in malattia, mancata presa di coscienza razionale.
Maximi medicorum: Ippocrate (460, 380 a.C.), segue la citazione del suo primo aforisma.
Minime sapienti viro: riferito ad Aristotele, poiché per il sapiente stoico la natura è permeata dal LOGOS e quindi è sempre benefica.
Si tota bene collocaretur: uso dell’imperfetto congiuntivo indica l’irrealtà della situazione; collocare: verbo tecnico di ambito finanziario, che significa investire un capitale.
Diffluit: da dis che indica movimento in direzioni diverse, e fluere radice di flumen metafora per tempo (immagine del fiume)
Inpenditur: verbo tecnico finanziario, metafora del denaro.
Quam ire non intelleximus transisse sentimus: valore icastico, parallelismo, sinonimia di intelleximus e sentimus (capire razionalmente e avvertire sentimentalmente).
Non accipimus…sed fecimus: antitesi, tema fondamentale per gli stoici della responsabilità individuale.
Nec in opes…sed prodigi: v. sopra

CAPITOLO 2
1 Quid de rerum natura querimur? Illa se benigne gessit: vita si uti scias longa est. [At] alium insatiabilis tenet avaritia; alium in supervacuis laboribus operosa sedulitas; alius vino madet alius inertia torpet; alium defetigat ex alienis iudiciis suspensa semper ambitio alium mercandi praeceps cupiditas circa omnis terras omnia maria spe lucri ducit; quosdam torquet cupido militiae numquam non aut alienis periculis intentos aut suis anxios; sunt quos ingratus superiorum cultus voluntaria servitute consumat; 2 multos aut affectatio alienae formae aut suae querella detinuit; plerosque nihil certum sequentis vaga et inconstans et sibi displicens levitas per nova consilia iactavit; quibusdam nihil quo cursum derigant placet sed marcentis oscitantisque fata deprendunt adeo ut quod apud maximum poetarum more oraculi dictum est verum esse non dubitem: "Exigua pars est vitae qua vivimus. Ceterum quidem omne spatium non vita sed tempus est. 3 Urgent et circumstant vitia undique nec resurgere aut in dispectum veri attollere

 1     Perché ci lamentiamo della natura? Ella si è comportata benignamente: la vita è lunga se la sai usare. Ma l’avidità insaziabile occupa uno, un affannarsi eccessivo in fatiche inutili occupa un altro, uno è ubriaco, un altro è paralizzato dalla pigrizia, un’ambizione sempre condizionata da opinioni altrui logora un altro, un sfrenato desiderio di commerciare conduce un altro per tutte le terre, per tutti i mari, con la speranza del guadagno;  il desiderio di combattere tortura certuni, sempre intenti agli altrui pericoli o ansiosi per i propri, ci sono alcuni che il culto ingrato dei superiori logora in una volontaria schiavitù;
 2     l’aspirazione a raggiungere le altrui fortune o il lamento per le proprie condiziona molti; Una leggerezza volubile, incostante e scontenta di sé ha gettato in progetti sempre nuovi i più che non si pongono una meta determinata; ad alcuni non piace nessuna meta verso cui dirigersi, ma la morte li coglie mentre infiacchiscono e sbadigliano: a tal punto che non dubito che siano vere le parole che sono state dette dal più grande dei poeti, come da un oracolo: - è esigua la parte di vita che noi viviamo.
I vizi premono ed assediano da ogni parte e non permettono di risollevarsi o alzare gli occhi a discernere il vero, ma li schiacciano immersi ed inchiodati al piacere.
ANALISI DEL TESTO

CAPITOLO 2
v     Querimur: lamento contro la natura proprio degli erranti (coloro che non sono sapiens).
v     Sed alium… : tipico periodo senecano: accumulo di brevi frasi con anafora di alium, poi di alius per poliptoto (stessa parola con variazione di caso), variatio di termini sinonimici (quondam, sunt quos, multos, plerosque, quibusdam), rassegna tipica del gusto diatribico.
v     Operosa: osus terminazione di aggettivi che indicano abbondanza.
v     Ambitio: originariamente “andare intorno” soprattutto per fini elettorali, poi “voler figurare” e infine mistura di ostentazione, vanità e arrivismo (sistema dei vizi senecano).
v     Praeceps: propriamente “a capofitto”.
v     Cultus: da colere, coltivare, accezione traslata nel senso di fare la corte, quindi “ossequio”.
v     Volontaria servitute: ossimoro,
v     Adfectatio: sostantivo deverbativo in “tio”, deriva da adfectare che significa tendere, che è l’intensivo di adficio.
v     Destituit: perfetto gnomico, indica generalizzazione e consuetudine, quindi si traduce col presente.
v     Deteneo: verbo in “e” lunga, che di solito hanno una sfumatura di permanenza della condizione.
v     Iactavit: piano metaforico del viaggio per mare.
v     Cursum: rotta.
v     Levitas: opposto della costantia, una delle virtù cardinali dello stoicismo (“de tranquillitate animi” si occupa della levitas, e il “de costantia sapientis” della costanza).
v     Maximum poetarum: forse Omero o Virgilio, ma non si trova questa citazione, forse anche Menandro, Euripide o Ennio.
v     Vivimus: indicativo con molta forza di realtà.
v     Ceterum: tutte le forme in “ter” implicano un confronto, introduce l’antitesi a cui è affidato il compito di segnalare il punto risolutivo di un’argomentazione, come spesso in Seneca.
v     Urgent…circumstat…resurgere…premunt: metafora militare della battaglia.
v     Recurrere (ritirata strategica): in metafora indica le risorse dell’interiorità.
v     Volutatio: deverbativo in “tio” da voluto intensivo di volvo.
v     Profondo mari…etc: immaginario del viaggio per mare.
v     Aspice…vide: formule tipiche della predica popolare (aspiceàspec radice di specie e speculum connessa con vedere).
v     Quam multis…quam multorum: anfora con poliptopo.
v     Clientium: coloro che si ponevano sotto la protezione economica di un potente, e dal loro numero si poteva dedurre il prestigio del patronus.
v     Se sibi: gioco di pronomi che introduce un paradosso.
v     Alios in alium: corrispondenza parallela a “se sibi”, Seneca non vuole condannare la disponibilità verso il prossimo (“iuvare alios” è un imperativo per lo stoicismo), ma la tendenza a perdersi in attività inutili.
v     Inspicere: guardare addentro, introspezione importante nella pratica morale dello stoicismo.
v     Cuiquam incutes: mettere in conto, verbo tecnico finanziario.
v     Quondam…poteras: sentenza icastica.



CAPITOLO XIV

  1 .Soli omnium otiosi sunt qui sapientiae uacant: soli uiuunt. nec enim suam tantum aetatem bene tuentur: omne aeuum suo adiciunt. quidquid annorum ante illos actum est, illis adquisitum est. nisi ingratissimi sumus, illi clarissimi sacrarum opinionum conditores nobis nati sunt, nobis uiam praeparauerunt. ad res pulcherrimas ex tenebris ad lucem erutas alieno labore deducimur. nullo nobis saeculo interdictum est, in omnia admittimur et, si magnitudine animi egredi humanae imbecillitatis angustias libet, multum, per quod spatiemur, temporis est. 2 disputare cum Socrate licet, dubitare cum Carneade, cum Epicuro quiescere, hominis naturam cum Stoicis uincere, cum Cynicis excedere. cum rerum natura in consortium omnis aeui patiatur incedere, quidni ab hoc exiguo et caduco temporis transitu in illa toto nos demus animo, quae inmensa, quae aeterna sunt, quae cum melioribus communia? 3 isti, qui per officia discursant, qui se aliosque inquietant, cum bene insanierint, cum omnium limina cotidie perambulauerint nec ullas apertas fores praeterierint, cum per diuersissimas domos meritoriam salutationem circumtulerint, quotum quemque ex tam inmensa et uariis cupiditatibus districta urbe poterunt uidere?

1.Soli tra tutti sono sfaccendati coloro che si dedicano alla saggezza, essi soli vivono; e infatti non solo custodiscono bene la propria vita: aggiungono ogni età alla propria; qualsiasi cosa degli anni prima di essi è stata fatta, per essi è cosa acquisita. Se non siamo persone molto ingrate, quegli illustrissimi fondatori di sacre dottrine sono nati per noi, per noi hanno preparato la vita. Siamo guidati dalla fatica altrui verso nobilissime imprese, fatte uscire fuori dalle tenebre verso la luce; non siamo vietati a nessun secolo, in tutti siamo ammessi e, se ci aggrada di venir fuori con la grandezza dell'animo dalle angustie della debolezza umana, vi è molto tempo attraverso cui potremo spaziare.

2. Possiamo discorrere con Socrate, dubitare con Carneade, riposare con Epicuro, vincere con gli Stoici la natura dell'uomo, andarvi oltre con i Cinici. Permettendoci la natura di estenderci nella partecipazione di ogni tempo, perché non (elevarci) con tutto il nostro spirito da questo esiguo e caduco passar del tempo verso quelle cose che sono immense, eterne e in comune con i migliori? Costoro, che corrono di qua e di là per gli impegni, che non lasciano in pace se stessi e gli altri, quando sono bene impazziti, quando hanno quotidianamente peregrinato per gli usci gli tutti e non hanno trascurato nessuna porta aperta, quando hanno portato per case lontanissime il saluto interessato24, quanto e chi hanno potuto vedere di una città tanto immensa e avvinta in varie passioni?

                                           EPISTULAE MORALES AD LUCILIUM, I ,1

[1] Ita fac, mi Lucili: vindica te tibi, et tempus quod adhuc aut auferebatur aut subripiebatur aut excidebat collige et serva. Persuade tibi hoc sic esse ut scribo: quaedam tempora eripiuntur nobis, quaedam subducuntur, quaedam effluunt. Turpissima tamen est iactura quae per neglegentiam fit. Et si volueris attendere, magna pars vitae elabitur male agentibus, maxima nihil agentibus, tota vita aliud agentibus. [2] Quem mihi dabis qui aliquod pretium tempori ponat, qui diem aestimet, qui intellegat se cotidie mori? In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iam praeterit; quidquid aetatis retro est mors tenet. Fac ergo, mi Lucili, quod facere te scribis, omnes horas complectere; sic fiet ut minus ex crastino pendeas, si hodierno manum inieceris. [3] Dum differtur vita transcurrit. Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est; in huius rei unius fugacis ac lubricae possessionem natura nos misit, ex qua expellit quicumque vult. Et tanta stultitia mortalium est ut quae minima et vilissima sunt, certe reparabilia, imputari sibi cum impetravere patiantur, nemo se iudicet quicquam debere qui tempus accepit, cum interim hoc unum est quod ne gratus quidem potest reddere.

Fa’ ciò mio Lucilio: rivendica a te il possesso di te stesso, e raccogli e conserva il tempo che finora o era sottratto e rubato o che sfuggiva. Convinciti che ciò è così come scrivo: una parte del tempo ci è tolta, una parte è sottratta, una parte scorre via. Tuttavia la perdita più vergognosa è quella che avviene per la nostra negligenza. E se vorrai stare attento, gran parte della vita sfugge a coloro che agiscono male, massima parte a coloro che non fanno nulla, tutta la vita intera a coloro che fanno altro. Chi mi troverai che stabilisca un prezzo al tempo, che dia un valore al giorno, che capisca di morire ogni giorno? Infatti in questo c’inganniamo, che vediamo lontano la morte: gran parte di essa è già passata: la morte possiede tutto il tempo che è dietro. Fa’ dunque, mio Lucilio, ciò che mi scrivi di fare, tieni stretta ogni ora; se oggi porrai le mani (sul tempo) accadrà che tu dipenderai meno dal domani. Mentre rinviamo, la vita trascorre. Tutto il resto, Lucilio, è degli altri, solo il tempo è nostro; la natura ci mandò il possesso di questa unica cosa fuggevole e incerta, possesso da cui scaccia chiunque voglia. E la stoltezza dei mortali è tanto grande che permettono che oggetti (che sono) insignificanti e di pochissimo valore, ma certamente recuperabili, siano messi in conto, avendoli ottenuti mentre nessuno si ritiene di dover qualcosa per ricevere il tempo; e questo è l’unico bene che nemmeno il riconoscente può restituire.