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lunedì 22 ottobre 2012

LE GRAZIE

Antonio Canova
1813-1818
La concezione della storia intesa come forma laica di perennità e "la religione delle illusioni",già sviluppate nei Sepolcri ,ritornano nel poema mitologico Le Grazie, ma rivissute senza la passionalità del carme:nei Sepolcri il fondamento della civiltà è cercato nelle tradizioni e nelle glorie di un popolo, nel poema sono invece la bellezza e le arti a ingentilire l'uomo.
La genesi
Dedicate allo scultore neoclassico Antonio Canova, Le Grazie nascono dalla libera rielaborazione di spunti tratti dalla poesia neoclassica.
L’ultima opera del Foscolo non conobbe una stesura definitiva, ma resterà allo stato frammentario. Il poeta, che lavora a questa, che è la sua creazione poetica più dichiaratamente (fin dalla dedica al Canova) “neoclassica”, a partire dal 1811, continuerà a limare i perfetti endecasillabi, a modificare e spostare episodi e sezioni, a cercare una architettura generale in cui inserire i quadri staccati tra loro, ma quanto ci è giunto del poemetto resta un insieme di luminosi frammenti, privi di una coesione complessiva, quasi una raccolta di tessere di un mosaico di cui si intravede un disegno complessivo, che perт le lacune non consentono di cogliere ed interpretare pienamente, conferendogli il fascino misterioso dell’incompiuto. Questa situazione ha anche condizionato le valutazioni critiche sul poemetto e sul posto da esso occupato nell’insieme della produzione del poeta di Zacinto. Due sono state le interpretazioni storicamente più importanti dell’opera poetica del Foscolo, ed il loro netto divergere si puт connettere con due contrapposte concezioni poetiche: sono quella ottocentesca del De Sanctis e quella novecentesca del Croce. Il primo critico dispone le opere foscoliane su una parabola: sull’arco ascendente egli colloca, considerando che ciascuna testimoni rispetto alla precedente un miglioramento artistico, l’Ortis, i Sonetti e le Odi, seguite, all’acme della parabola, dal capolavoro Dei Sepolcri; mentre pone sulla sezione discendente (pur apprezzandone le soluzioni formali) il poemetto delle Grazie, commentando come in esse predomini l’artista, mentre sia quasi assente il poeta. Se noi riflettiamo sul significato che il critico napoletano dа a questi termini ed in particolare alla connotazione negativa che attribuisce ad “artista” (come colui che ha per motto ARS GRATIA ARTIS, cioи l’idea dell’arte per l’arte, e non come il vero poeta ARS GRATIA VITAE) possiamo valutare il peso negativo, o almeno limitativo, di tale giudizio. Non dimentichiamo poi che la critica dell’Ottocento ama le opere organiche e non è ancora abituata al frammento, diversamente dal 900: ed infatti il critico novecentesco, Croce, propone, per le opere foscoliane, una retta ascendente, e colloca nel punto più alto, considerandole quindi il capolavoro, proprio le Grazie, cui l’incompiutezza toglierebbe l’aspetto allotrio della “struttura”, da lui considerata “non poesia”, per lasciare soltanto, luminosa nei suoi preziosi frammenti, la poesia allo stato puro; la frammentarietа e l’incompletezza, lungi dal costituire un difetto, rappresentano proprio il pregio del poemetto. Tale posizione и ripresa ed approfondita dal De Robertis ed in generale evidente risulta l’apprezzamento per i frammenti del poemetto da parte dei poeti e dei critici ermetici. La critica successiva, pur continuando a privilegiare il carme dei Sepolcri, ha riletto con maggior attenzione le Grazie, riconoscendo in esse il fiore supremo, se pur fragile ed esile, del neoclassicimo europeo (su questa posizione si trovano, fra gli altri, il Fubini ed il Binni) e le hanno considerate come l’approdo coerente di un percorso che trova analogie in altri poeti di altre letterature (ed in particolare nel Goethe, nel suo procedere dal Werther all’ultima redazione del Faust).
Ritengo utile, prima di esaminare l’impostazione, le tematiche e le strutture formali dell’opera, individuare tale percorso, partendo dal 1803, quando giа il poeta espone una prima idea del poemetto.
All’inizio dell’Ottocento, nella fervida vita culturale milanese (nella cittа, oltre all’arrivo degli esuli napoletani e del Monti ed alla presenza del giovane Manzoni, si trovava Stendhal e vi approdava spesso, per gli spettacoli della Scala, Byron) si dibatteva molto, nell’ambito della corrente dominante del Neoclassicismo, sulla traduzione dei classici. Monti stava lavorando alla sua bella infedele, la versione capolavoro dell’Iliade, ed alla traduzione dal latino delle Satire di Persio, dal francese della Pulzella d’Orlйans di Voltaire e lo stesso Foscolo, mentre traduceva libri di Omero e la Chioma di Berenice da Callimaco-Catullo, giа progettava un Inno alle Grazie, suggerito anche dall’attivitа artistica del Canova. Sull’idea di traduzione Monti e Foscolo erano decisamente su posizioni contrastanti, in quanto il primo propendeva per la traduzione artistica, il secondo per quella filologica: entrambi comunque erano interessati al mondo antico ed al classicismo (e le Grazie saranno proprio l’opera simbolo e l’esito piщ alto del neoclassicismo italiano). In una nota alla traduzione della Chioma di Berenice il poeta introduceva una interessante nomenclatura, scrivendo, e distinguendoli nettamente fra loro, di passionato e mirabile: col primo termine indicava, in un’opera d’arte, il predominio del sentimento e della passione; col secondo la ricerca dell’armonia e il prevalere del senso del bello e della contemplazione. Ed il percorso complessivo dell’opera creativa del Foscolo и proprio sostanzialmente un itinerario dal primo al secondo atteggiamento.
Chiunque abbia letto Le ultime lettere di Jacopo Ortis ha ben presente la tonalitа dell’opera, il prevalere nel romanzo delle note cupe, tempestose e notturne, il vigore della passione amorosa e patriottica, le tensione verso il suicidio. Un libro sincero ed energico, basato su scottanti esperienze autobiografiche, ma con difetti derivanti dalla giovinezza e dalla passione dell’autore: eccessi di eloquenza, lampi di entusiasmo, esagerazioni di tono, eccesso di iperboli, colori lugubri e cupi del paesaggio, in consonanza con la tempesta interiore. Ma giа si affacciano i successivi temi foscoliani: da un lato i miti della tomba, del tempo distruttore, dall’altro quelli della bellezza serenatrice, della poesia eternatrice; ma si resta in ogni caso nell’ambito del passionato.
Le esperienze immediatamente successive si realizzano in due direzioni (che poi approderanno ai due capolavori della piena maturitа): Sonetti e Odi. Foscolo resta ancora nell’ambito delle forme chiuse, che piщ tardi supererа, approdando alla piщ libera musica dell’endecasillabo sciolto (fino ad allora peraltro giа sperimentato nella tragedia Tieste e nelle traduzioni). I due generi gli servono per provarsi prima ad una specie di sintesi tra i due aspetti, poi ad un prevalere del mirabile. I Sonetti sono, per gli argomenti, collegati strettamente all’Ortis, ma, soprattutto nei quattro maggiori, il poeta giunge ad una armoniosa e placata fusione del tema passionale e di quello contemplativo, assorbendo l’agitazione e la passionalitа residue in una struttura di tersa nitidezza che, senza eliminarne l’intensitа, le purifica ed universalizza. Significativa e quasi simbolica di questo atteggiamento, la conclusione di Alla sera, con il doppio ossimoro.
... e mentre io guardo alla tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge,
Se parole come pace e dorme indicano lo stato d’animo della contemplazione e della calma; rugge e guerrier ci riportano al precedente momento ortisiano; ma attraverso l’accostamento, il poeta ottiene l’effetto di una sintesi tra le due tonalitа, che produce un effetto, tipico del neoclassicismo foscoliano, di equilibrio non statico, ma dinamico, che deve essere continuamente raggiunto e riconquistato.
Al contrario le Odi (che sembrano voler programmaticamente anticipare i temi e le tecniche delle Grazie) segnano un distacco evidente dalle esperienze di vita vissuta, tendono alla astrazione ed alla sublimazione, a costruire un mondo ideale di bellezza ed armonia, in cui le passioni e gli avvenimenti trovano solo un vago riflesso, e sono innalzati in una atmosfera di estatica contemplazione. Ciт si realizza (sfiorando, ma senza cadervi, i rischi dell’estetismo) soprattutto nella seconda ode, All’amica risanata, ove il poeta, dopo aver cantato con disteso vigore e musicale entusiasmo la funzione consolatrice della bellezza femminile, inventa quasi una sua nuova mitologia, innalzando al mondo divino ed eterno, per virtщ della poesia, la donna da lui amata, posta vicino alle donne che gli antichi poeti avevano, col loro canto, trasfigurato in dee.
La tipologia poetica giа presente nei Sonetti и ripresa e confermata nel carme dei Sepolcri, ove si realizza in pieno la fusione tra gli aspetti (altre volte separati e prevalenti di volta in volta) della esperienza passionalmente vissuta e dell’arte rasserenata, dell’agire e del contemplare, del passionato e del mirabile. Le due immagini simboliche di fondo che realizzano il grande chiaroscuro del carme sono il sole e la notte, che si ripresentano, in equilibrio ossimorico, nei punti cruciali, all’inizio, al centro ed al termine. All’inizio il Sole illumina le bellezze del creato e costituisce il primo degli elementi positivi di cui la morte priverа il poeta (le altre sono la natura, le illusioni, la poesia, l’amore); ma subito dopo all’immagine del sole si contrappone quella opposta e complementare della notte dell’oblio ( ... e involve tutte cose l’Oblio nella sua notte...). Al centro del carme l’immagine dell’astro della luce e della vita torna a confronto con l’oscuritа notturna degli ipogei dei cimiteri greci, appena illuminati dalla lampada sepolcrale, dono degli amici che compiangono e ricordano:
Rapian gli amici una favilla al Sole
a illuminar la sotterranea notte...
Appare qui il contrasto dinamico tra le implicazioni vitalistiche e razionali collegate alla parola Sole (con l’iniziale maiuscola a suggerirne le implicazioni) e quelle cupe connesse alla notte: tra luce neoclassica e ombra romantica, con un sostanziale equilibrio tra i due aspetti. 
Nel finale del carme, proprio negli ultimi versi, all’interno della solenne profezia di Cassandra, si delinea ancora l’antitesi fra luce e tenebre, tra il Sole e la cupa vicenda delle sventure umane da esso contemplate; non solo, ma dalla notte reale (l’oscuritа delle tombe e la cecitа di Omero), sorge la luce metaforica della poesia. Il chiaroscuro che abbiamo analizzato sembra proprio indicare un momento di raggiunto equilibrio: e che tale scelta sia ben presente e consapevole nel poeta, sembra confermato dalla ossimorica “notte luminosa” che si accampa nell’episodio di Firenze: 
Lieta dell’aer tuo veste la luna
di luce limpidissima i tuoi colli...
Se dunque i Sepolcri segnano un raggiunto quanto delicato equilibrio tra i due aspetti, con le Grazie si passa invece al deciso prevalere dell’anima neoclassica del Foscolo, si realizza il definitivo approdo al mirabile, al termine di un lungo cammino che partendo infatti dal deciso prevalere della passione, dall’agitazione sentimentale approdante al suicidio delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, passa attraverso il momento di equilibrio tra i due aspetti nei Sepolcri, per approdare infine alla serena contemplazione delle Grazie; anche nella serenitа perт il Foscolo non rinuncia del tutto a riferimenti alla attualitа ed in particolare alle problematiche politiche dell’epoca; resta nel complesso evidente un percorso dalla tensione preromantica alla contemplazione neoclassica di un’opera, che viene cosм a rappresentare l’equivalente letterario della scultura del Canova. 
Armoniosa melodia pittrice
(Primo Inno, a Venere)
Pur nella sostanziale frammentazione, e partendo da un progetto che prevedeva un solo inno (idea ancora confermata in un saggio del ’22, Dissertazione sopra un antico inno alle Grazie), l’insieme di versi endecasillabi sciolti che possediamo, si puт agevolmente suddividere in una struttura tripartita, in tre Inni: A Venere, a Vesta ed a Pallade, ciascuno (specie i primi due) logicamente articolati e ben distinti fra loro anche dallo sfondo in cui sono collocati, rispettivamente la Grecia mitica, la Toscana, l’isola di Atlantide.
Il primo inno и dedicato a Venere (che simboleggia la “bella natura apparente”, chiarisce il poeta), si apre con l’invocazione alle Grazie e con la dedica al Canova, a suggerire un auspicato incontro fra le arti figurative e la poesia, che era un ideale del neoclassicismo. Segue la rievocazione della nascita delle Grazie nelle acque dello Jonio, fra Citera e Zacinto, l’isola natia nostalgicamente rievocata. La madre Venere le trae dal mare perchй possano aiutare gli uomini ad uscire dallo stato ferino e a dare inizio alla vita civile: nasce cosм, col loro contributo, la splendida civiltа della Grecia; nella conclusione il poeta preannuncia il passaggio delle Grazie dalla Grecia all’Italia.
Un passo interessante и dunque il proemio, che il poeta articola in tre settori.
Il primo settore (vv. 1-8) propone l’invocazione alle Grazie, con la richiesta alle tre dee per ottenere una espressione poetica in cui trovino sintesi pittura e musica (“a voi chieggio l’arcana / armoniosa melodia pittrice / della vostra beltа”), e che porti consolazione all’Italia afflitta dalle guerre napoleoniche. Notiamo subito la nitida perfezione degli endecasillabi, che, conservando la marmorea compattezza dei Sepolcri, sembrano assumere in piщ una delicatezza di “sfumato” ed una nuova vibrazione e tonalitа musicale. 
Segue il riferimento autobiografico al luogo in cui il poeta si dedica alla composizione del carme: la prediletta Bellosguardo, immersa nella bellezza delle colline toscane giа cantate al centro dei Sepolcri, ove egli, fuggito dalle delusioni milanesi del fiasco dell’Aiace alla Scala e dalle polemiche con gli intellettuali di quella cittа, si и rifugiato ed ove immagina di innalzare il metaforico altare alle tre dee, ed invita a partecipare al rito sacro l’amico scultore:

Nella convalle tra gli aerei poggi
di Bellosguardo, ov’io cinta d’un fonte
limpido fra le quete ombre di mille
giovinetti cipressi alle tre dee
l’ara innalzo... al vago rito
vieni, o Canova, e agl’inni.

La terza sezione del prologo torna ad una dichiarazione di poetica (sostanzialmente antimontiana - sdegno il verso che suona e che non crea - ) e dopo aver definito Canova artefice di Numi, prospetta una funzione di guida da parte della poesia rispetto alle arti figurative (Apollo come guida di Fidia e di Apelle); e il nome di Fidia ci riporta alla concezione del Winkelmann, teorico riconosciuto del neoclassicismo, che aveva indicato come vertice dell’arte ellenica proprio la ideale, calma e serena bellezza delle sculture fidiache. 
Esaminando questo passo, ci accorgiamo che il poeta ha abbandonato definitivamente le forme chiuse del sonetto e dell’ode, ed è approdato alla forma piщ libera e flessibile dello sciolto, dando al verso tipico della poesia italiana una nitida precisione ed un ritmo insieme solenne ed intimo: ciт accadeva giа nei Sepolcri, ove la tematica solenne tendeva a far prevalere un senso austero e scultoreo; nelle Grazie l’endecasillabo mantiene tali aspetti, aggiungendo perт una maggiore fluiditа ed unendo al pregio visivo della chiarezza e della luminosa precisione descrittiva vibrazioni timbriche di intensa suggestione e la misteriosa melodia del suono.
Altri momenti significativi del primo inno sono la rappresentazione degli uomini primitivi e l’invenzione delle arti figurative. Il primo episodio ci rivela come, pur nella astratta contemplazione delle Grazie, la realtа storica sia distanziata ma non completamente dimenticata: il mirabile nel Foscolo (diversamente che nel Monti) non c'è mai semplice involucro estetico e non si allontana mai completamente dall’esperienza della vita. 

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