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mercoledì 18 gennaio 2012

La poesia lirica: i nuovi temi e la trasformazione del genere

allegoria della simulazione

I primi trenta-quaranta anni del Seicento vedono una grande fioritura del genere lirico, che è ancora considerato, insieme con quello epico o eroico, la chiave del successo di corte. Scrivere poesie è un atto di promozione e di affermazione sociale, che fa parte organica della competizione fra i gentiluomini e delle rivalità fra i letterati.
Il momento di piena affermazione del nuovo gusto coincide con la pubblicazione della raccolta di liriche "La Lira"di Giambattista Marino, nel 1614. Ma la poetica barocca del concettismo comincia a diffondersi già alla fine del Cinquecento e all'inizio del Seicento.Si riprende in questo periodo e si estremizza la tendenza al nuovo che già era apparsa alla fine del secolo con le Rime di  Tasso e di Guarini. Prevalgono il frammento, l'elemento casuale e disorganico.Il modello petrarchesco viene perciò rifiutato nel suo aspetto fondamentale: quello di rappresentare in una storia d'amore una vicenda esemplare.Sul piano metrico , inoltre tendono a sparire la sestina e la ballata, si riduce l'importanza della canzone , si afferma con forza il madrigale.
Le rivalità reciproche, il bisogno di affermazione, l'esigenza di colpire l'attenzione del pubblico portano una costante ricerca del nuovo sia sul piano della rappresentazione grafica della scrittura e della pagina, sia su quello tematico.Modi nuovi di di impostare la scrittura stessa e di organizzarla visivamente sulla pagina e nuovi nuclei tematici nascono, si affermano, scompaiono con grande rapidità.
Sul piano grafico si sviluppa la poesia figurata, cioè una tendenza a rappresentare tipograficamente nomi e oggetti attraverso i colori e soprattutto attraverso la disposizione dei versi e delle parole. 
Se l'acrostico (dal greco akròstichon= estremità del verso) pone in risalto il nome della persona a cui la poesia è dedicata  , il calligramma (dal greco kalòs bello e gramma lettera) riproduce visivamente gli oggetti.
Sul piano tematico ,le poesie vengono dedicate a piccoli particolari del corpo femminile isolati dal resto (orecchi, capelli, seno, occhi) , ed aspetti del vestiario, ad atti minuti della vita quotidiana(pettinarsi, guardarsi allo specchio,ecc.) L'idealizzazione petrarchesca della figura femminile s'attenua e anzi spesso scompare addirittura. Il brutto e l'osceno possono comparire in primo piano.Per esempio, si può parlare di una donna perchè è vecchia o balbuziente o priva di un dente.
La nuova poesia tende a essere ludica o cerebrale : un gioco di società dove domina la finezza dell'ingegno, non più la profondità dello scavo interiore.


Il capolavoro di Giambattista Marino, L'Adone, fu pubblicato a Parigi nel 1623. Si tratta di un poema in venti canti per un totale di 5033 ottave( è il poema più lungo della Letteratura italiana).L'opera non segue un ordine narrativo  consequenziale e rigoroso, intende inserirsi nella tradizione del poema epico e si pone in competizione con la Gerusalemme Liberata di Tasso, ma nel raccontare la favola di Venere e Adone ben riflette la nuova prospettiva policentrica e multiforme della sensibilità barocca.
Innanzitutto non tratta della guerra ,ma dell'amore ; inoltre il protagonista non assume i valori tradizionali dell'eroe perchè non entra mai in azione , si lascia trascinare dagli eventi; infine l'ambientazione non è storica , ma idillaca e mitologica. L'adesione alle norme di poetica che avevano ossessionato Tasso (la verisimiglianza del soggetto,la giustificazone del ricorso al meraviglioso, la conciliazone tra varietà e unità) appare  un problema superato all'interno delle nuove coordinate.
Alla logica religiosa e controriformistica del poema di Tasso, Marino contrappone una filosofia della vita basata sul piacere, secondo la tradizione del materialismo cinquecentesco,incalanando il racconto mitologico entro schemi che appartengono alla tradizione dell'agiografia sacra(la  persecuzione di Adone riprende il modello delle vite dei Santi e la sua morte è raffigurata addirittura come quella di Cristo, con il tradimento e la ferita nel costato).Per questo l'opera subì gli attacchi della chiesa di Roma e provocò alla sua uscita un acceso dibattito , perchè violava i principi aristotelici, era privo di unità, non rispettava i criteri linguistici di purezza.Il dibattito si estinse solo negli anni Quaranta. L'autore sostenne che la storia conteneva un insegnamento di carattere morale: "smoderato  piacer termina in doglia",cioè l'eccessivo piacere produce infine dolore.Ma ciò non valse a impedire che l'Adone finisse all'indice dei libri proibiti nel 1624.
Il poema racconta l'episodio mitologico dell'amore fra Venere e Adone , ispirandosi alle Metamorfosi del poeta latino Ovidio. Vittima della vendetta di Cupido , Venere si innamora del giovane Adone,un semplice mortale approdato all'isola di Cipro.Dopo averla curata per la ferita provocata dalle spine di una rosa , egli ricambia il suo amore.Viene così iniziato al culto dei cinque sensinel giardino del piacere, e poi a quello dell'intelletto e delle arti; infine mercurio unisce in matrimonio i due amanti.Ma la gelosia di Marte lo costringe a lasciare Ciproe da quel momento iniziano per lui numerose peripezie che gli impediscono di coronare il suo sogno e si concludono con la morte , causata dall'assalto di un cinghiale inferocito.Alla sepoltura di Adone  seguono gli spettacoli organizzati da Venere in suo onore.





giovedì 12 gennaio 2012



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Che il poeta si sia ispirato ad Alceo non importa; questa concezione della vita e del tempo, giustamente famosa, è legata ad Orazio e alla straordinaria efficacia con cui l’ha espressa.

Carminum I, 11

           1       Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
           2       finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
           3       temptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati,
           4       seu plures hiemes, seu tribuit Iuppiter ultimam,
           5       quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
           6       Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
           7       spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida
           8       aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.

1.                   Non domandarti – non è giusto saperlo – a me, a te
2.            quale sorte abbian dato gli dèi, e non chiederlo agli astri,
3.            o Leuconoe; al meglio sopporta quel che sarà:
4.            se molti inverni Giove ancor ti conceda
5.            o ultimo questo che contro gli scogli fiacca le onde
6.            del mare Tirreno. Sii saggia, mesci il vino
7.            – breve è la vita – rinuncia a speranze lontane. Parliamo
8.            e fugge il tempo geloso: carpe diem, non pensare a domani.


PERCORSO : " L'ideale della mediocritas"  (fotocopie )
 

lunedì 9 gennaio 2012

Il ruolo del poeta Orazio

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Molte notizie sulla vita di Orazio si ricavano da osservazioni presenti nelle sue opere , oltre a una Vita Horati ,contenuta in una sezione del De viribus illustribus di Svetonio.

VITA-OPERE 
L'attività poetica di O. si svolge su piani diversi e paralleli, coagulandosi essenzialmente su tre generi: satira esametrica, poesia giambica e poesia lirica. A tal proposito, si usa generalmente distinguere 3 fasi, <<in prospettiva con l'evoluzione culturale dell'uomo e con la condizione politica di Roma:


1. la I fase (43-30 a.C. ca) appartiene all'età giovanile del poeta: è il tempo degli "Epòdi" e delle "Satire" più antiche, in cui emerge lo stato di agitazione e di sconforto del poeta, ed irrompe il suo risentimento verso i nemici politici dopo Filippi.
2. la II fase (30-23 ca) coincide praticamente con la composizione delle "Odi", e più
esattamente dei primi 3 libri: è il momento in cui vengono a ridimensionarsi la dialettica
e la lotta politica, e quasi di conseguenza il poeta, che aveva già cominciato ad usare
nelle satire ultime (ossia nella maggior parte di quelle del II libro) un tono più moderato
e bonario, si dedica decisamente alla lirica. E' così che egli scopre se stesso, e la
sua tecnica si fa soggettiva ed introspettiva; lasciati da parte odii personali
e contingenze particolari, eleva il tono universale della sua poesia, tripudiando
per il successo di Ottaviano ad Azio, che pone fine alle lacerazioni delle guerre civili;
3. la III fase (23-13 ca), infine, è quella della piena maturità del poeta, emulo, come già Virgilio nell' "Eneide", della composizione di versi paradigmatici per i fasti della sospirata Pace augustea. Appartengono a questo periodo i 2 libri delle "Epistole", il "Carme secolare" e il IV libro delle "Odi".
Le Satire furono composte nello stesso periodo degli Epòdi , con i quali condividono una certa intenzione polemica , sebbene questa sia espressa in una forma diversa , bonaria e discorsiva. Esse rispecchiano uno stato d'animo più maturo, volto non solo a sottolineare la contradditorietà degli atteggiamenti umani, ma anche a suggerire una possibile soluzione.
Le "Satire", dette dal poeta stesso "Sermones" (ovvero propriamente "conversazioni", e dunque scritte con stile e lingua studiatamente quotidiani), composte in esametri dattilici, sono divise in 2 libri: il I (35-33 a.C.) ne comprende 10, il II (30 a.C.) 8. Difficile ne è la cronologia interna.
Abbandonate le inquietudini e il disadattamento degli "Epòdi", attraverso certo i temi della predicazione filosofica (in specie, quelli della diàtriba cinico-stoica, ma stemperati dal loro rigido moralismo) e la lettura di poeti quali Lucilio (di cui vuol essere versione moderna, ma altresì originale: satire I4 e I10), O. cerca di elaborare in forma piana e discorsiva (si tratta di componimenti misurati, caso mai vivaci, ma come detto non sfoghi moralistici) un suo ideale di misura (il cosiddetto "giusto mezzo", I1 e I2) che lo salvi dalle tensioni interne e non gli precluda il godimento della vita ("autàrkeia" ["bastare a se stessi"] e "metriòtes" ["misura"]).
Il poeta insomma ricerca una morale di autosufficienza e di libertà interiore, valendosi di uno straordinario senso critico e autocritico, oltre che del suo tatto e della sua conoscenza del mondo: il ragionamento si mantiene sempre sul piano psicologico-umano, e la polemica non è tanto contro i vizi in sé, quanto contro la loro vera radice, ovvero l’eccesso: come dire che egli si propone non certo di cambiare la società romana ed il modello etico di riferimento, ma almeno di fornire qualche utile elemento di riflessione per intervenire sulla coscienza dei singoli.
Inoltre, nelle prime "Satire", O. si sforza di dimostrare che la morale epicurea non è in disaccordo con i valori tradizionali di Roma: moderazione, saggezza, rispetto dei costumi, eccetera. Insiste anche sulla semplicità dell’esistenza rurale quale condizione della felicità, parlando, in questo senso, un linguaggio simile a quello di Virgilio e precisamente nello stesso periodo, all’incirca, in cui questi componeva le sue "Georgiche". Affinità vi sono anche col linguaggio di Tibullo. Inoltre, l’amicizia da lui spesso elogiata non è scambio di favori, e ancor meno schiavitù (come spesso avveniva a Roma quando gli amici erano di condizioni ineguali), ma una comunione profondamente spirituale o, anche, ideale.
Appare chiaro, insomma, che i "Sermones" toccano una straordinaria pluralità di temi, che non si lasciano imbrigliare in una sterile didascalia; mi limito, così, a ricordare le satire ritenute dai più le più rappresentative, oltre quelle già accennate. Così, ad es., un'altra satira programmatica è la II1, dove O. risponde alle critiche rivolte a se stesso e al genere satirico. Spunti autobiografici, invece, si riscontrano nelle satire: I4 (sul padre adorato); I6 (sulla presentazione a Mecenate); I5 (sull'avventuroso viaggio a Brindisi al seguito di Ottaviano); II6 (in cui esprime la gioia per la villa donatagli). Satire più propriamente etico-filosofiche sono invece: I2 (sull’adulterio; vigorosa); II3 (sulla pazzia degli uomini, eccetto il filosofo; briosa); II6 (vi si trova l’apologo del topos campagnolo e del topos urbano, con cui il poeta esprime simbolicamente l'angoscia che prova in città ed il desiderio di rifugiarsi nella tranquillità della campagna).
<<Dunque, le satire di O. non sono un'astrazione teorica, ma una proiezione della realtà, sia rispetto alla vitae ratio seguita dal poeta, sia rispetto alle sue dottrine letterarie, sia infine come quadro d'ambiente, che ci riporta al "Satyricon" di Petronio e agli "Epigrammi" di Marziale: hanno un valore di trasmissione culturale dei vizi sociali [Fiordelisi].