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mercoledì 9 febbraio 2011

La "Provvidenza" fa naufragio ( I Malavoglia Cap.III )



 Fanno il punto sul brano 

MARIANGELA LEOTTA


 La Longa è la moglie di Bastianazzo ,la buona massaia.Si da da fare per contribuire al bilancio famigliare.La sua serenità svanisce con la morte prematura del marito e poi del figlio Luca,il dolore per queste perdite la invecchia precocemente e la sua vita è spezzata da una grave malattia:il colera.
Il paese nei confronti della disgrazia di Maruzza si comportò in maniera diffidente,questo si può capire dal comportamento nei suoi confronti di comare Piedipapera e la cugina Anna che le vennero incontro con le mani sul ventre,(segno di disgrazia,perchè il ventre è simbolo di maternità)senza dire nulla, quindi si percepisce un sentimento di pietà per la disgrazia, da parte del paese ma anche della Longa che si rifugia in  casa.
 Nelle intenzioni del Verga il romanzo doveva essere uno "studio sincero"su una comunità di pescatori siciliani, quindi una narrazione corale, nel senso che la voce narrante perde la propria identità per moltiplicarsi e confondersi nelle voci delle persone che formano la comunità del villaggio. Parlando in terza persona si mette in una posizione esterna alla vicenda ,infatti non abbiamo alcun intervento personale da parte dell'autore nella narrazione,non si fa mai portavoce dei personaggi ma li lascia parlare liberamente.
Si tratta di una differenza che corrisponde al conflitto personale in Verga fra l'accettazione razionale del principio darwiniano nella lotta per la vita,con le leggi spietate che garantiscono la selezione naturale e l'attrazione emotiva verso una realtà arcaica della Sicilia che sembra depositaria di antichi valori. Dinanzi a tale spettacolo lo scrittore non deve cedere alla pietà,perchè si tratta di un fenomeno naturale,né buono ,né cattivo.Può solo studiarlo e rappresentarlo in tutti i suoi aspetti.
I luoghi dove si svolge l'azione sono la macelleria,la chiesa ,la spiaggia,la sciare e nella casa del Nespolo dove vivevano i Malavoglia. 

Mery Pafumi
Maruzza la Longa, già nell'aver saputo ciò che era accaduto alla nave su cui si trovava suo marito,  rimane senza parole e  passa giornate intere senza parlare. Ma ecco che arriva la notizia tanto temuta; quella della morte di Bastianazzo, marito della Longa. Inizialmente lei non  capisce e ripete sempre: "Oh!Vergine Maria", fin quando anche lei apprende la notizia e con un grido disperato si mette le mani tra i capelli e si rintana in casa.
Tutti gli abitanti del paese vedevano Maruzza come una donna rimasta sola senza niente, una donna povera che faceva pena e  proprio per pena, i paesani le stavano vicino, cercando di consolarla il più possibile. Questo atteggiamento nei suoi confronti viene messo in risalto anche dalle parole usate nel testo: (poveretta, povera donna..).
Il romanzo di Verga, si distingue dagli altri proprio per la tecnica usata, infatti lo scrittore non parla mai in prima persona, punta all'imoersonalità ma fa parlare i personaggi stessi,lascia che la storia si sviluppi da sè, attraverso il punto di vista "interno" dei personaggi.

La tendenza ad adeguare il più possibile la narrazione alla realtà dei personaggi investe anche il linguaggio; Verga sceglie un particolare impasto linguistico che fonde il lessico della lingua nazionale e la sintassi della parlata nazionale.
Alla base della sua impostazione letteraria vediamo alcuni principi darwiniani: ricava la visione materialistica per cui la natura dell'uomo è accomunata a quella degli animali e quindi, anche il suo comportamento è determinato da istinti ed esigenze elementari. Verga nega la libertà dell'individuo in quanto ogni scelta gli appare condizionata da due fattori: l'ambiente nel quale si è formato, con le leggi che lo regolano e le caratteristiche ereditarie che ne determinano la condotta. Su tutto questo incombe la ferrea legge della selezione naturale, secondo la quale i più deboli sono destinati a soccombere nella lotta per la vita rispetto a coloro che risultano più adeguati.
I luoghi sono: la sciara, la bottega di Pizzuto, la spiaggia, L'osteria, la macelleria, la chiesa, il ballatoio della casa di Maruzza.

ANTONELLA SALVA'
Maruzza: donna molto tranquilla, riservata e dolce. Lei, da buona donna siciliana, non s’intromette negli affari degli uomini ma lascia decidere a loro ogni decisione importante. Si dimostra una buona moglie pronta a curare il marito per la partenza e a piangerlo dopo la sua scomparsa. Si rattrista anche per i figli soprattutto per ‘Noti e la Mena. Lei prima era triste quando vide e capì che suo figlio era "diverso", poi scoppiò in una crisi quando seppe della decisione di ‘Ntoni di andarsene dalla famiglia. Notiamo tutto questo suo attaccamento a ‘Ntoni quando ha un ultimo colloquio con lui, ultimo perché dopo ci sarà la morte di Maruzza. In questo colloquio i due personaggi si aprono e notiamo tutto il loro volersi bene e soprattutto quanto è più forte l’amore della volontà di ribellione. Anche con Mena Maruzza ha dei problemi, infatti, durante la festa di fidanzamento tra Mena e Brasi lei è molto felice ma molto presto si accorge che la sua felicità è inutile. La figlia purtroppo stava male per il fatto che non amava Brasi, ma Alfio, e la madre dopo si accorge del gravissimo sbaglio che stavano commettendo e condivide appieno i sentimenti e le emozioni della figlia. Maruzza non si tira mai indietro ai doveri, infatti cede tranquillamente la casa del nespolo e aiuta tutti gli altri a rimettere in sesto le condizioni economiche della famiglia.
ll “secondo protagonista” del romanzo è l’intero paese, composto da personaggi uniti da una stessa cultura ma divisi da antiche rivalità, tipi che parlano e si confondono tra loro creando un effetto corale che nei primi capitoli quasi disorienta il lettore. La Santuzza, l’ostessa che simboleggia l’inganno, don Michele, il brigadiere corrotto, don Silvestro, il segretario che gestisce come una marionetta il sindaco, Alfio Mosca, il carrettiere rassegnato al suo destino di lavoratore, Campana di Legno, un ricco e avaro signore sono alcuni tra i più importanti. Al contrario di ciò che si può pensare anche l’asino di Alfio Mosca ha un’importanza nell’economia del romanzo. Questo animale è il simbolo dei vinti, dei poveri che devono soltanto lavorare per guadagnare una miseria: “Carne d’asino - borbottava ‘Ntoni - ecco cosa siamo! Carne da lavoro!”.
La rappresentazione si basa, naturalisticamente, su una precisa documentazione (storica, ambientale e linguistica), ma la scrittura, calata all'interno dei valori arcaici di quell'ambiente, non risulta fredda, e offre anzi una visione emotivamente intensa di quel mondo. Lo scrittore non è però direttamente partecipe; il canone verista dell'impersonalità viene realizzato affidando la parola ad un narratore popolare, la cui voce tende a coincidere con quella della comunità; si parla a questo proposito di racconto corale, in cui protagonista è l'intera comunità.
La narrazione si avvale di un impasto linguistico originale, che fonde nelle strutture dell'italiano medio corrente forme sintattiche ed espressioni colloquiali del dialetto siciliano, con risultati di immediatezza narrativa.
Caratteristiche stilistiche ricorrenti nel romanzo sono il discorso indiretto libero, e la tecnica dello straniamento, secondo cui aspetti abituali e normali vengono presentati come strani, insoliti.
Verga accetta il razionale principio darwiniano della lotta per la vita, con leggi spietate che garantiscono la selezione naturale.
Questo concetto di "lotta per la vita", che Verga aveva già utilizzato nella prefazione ai Vinti e che era già presente nel primo progetto del ciclo dei romanzi, deriva dall'applicazione, comunemente definita darwinismo sociale, di alcuni aspetti della teoria evoluzionistica di Charles Darwin in campo sociale.
Darwin sosteneva, infatti, riprendendo la tesi dell'economista Thomas Malthus, che tra i vari individui esiste una lotta continua per la sopravvivenza perché il numero degli organismi viventi è superiore a quello che può vivere con le risorse di cui si dispone.
A sopravvivere a questa lotta sono i più adatti alle condizioni di vita in cui si trovano che possono così trasmettere i loro caratteri ai discendenti con una naturale selezione.
I luoghi sono: la sciara, la bottega di Pizzuto, la spiaggia, L'osteria, la macelleria, la chiesa, il ballatoio della casa di Maruzza.


CONCETTA RUSSO
Maruzza la Longa apprende la morte del marito Bastianazzo attraverso i comportamenti insoliti dei paesani nei suoi confonti. Per esempio le comari mentre tornavano dall’osteria si fermavano a barattare qualche parola con lei; qualche amico di suo marito Bastianazzo, come compar Cipolla o compare Mangiacarrubbe, passando dalla sciara gli andavano a chiedere di suo marito e le facevano un po’ di compagnia. Ella sgomenta da quelle attenzioni insolite li guardava in faccia sbigottita e si stringeva in petto la bambina. Un giorno Maruzza tornando a casa trovò un gruppo di vicine che l’aspettavano. Come la videro da lontano, comare Piedipapera e la cugina Anna le vennero incontro, con le mani sul ventre ( un gesto che indica la partecipazione alla disgrazia da parte di altre madri di famiglia; il ventre infatti è simbolo della maternità) , senza dir nulla. Allora ella si cacciò le unghie nei capelli con uno strido disperato e corse a rintanarsi in casa.
L’autore racconta l’avvenimento dalla prospettiva dei personaggi e si mantiene eclissato, in quanto scende allo stesso livello dei personaggi fino al punto da imitarne le forme espressive, immedesimarsi nel loro immaginario, rinunciare a saperne più di loro riguardo alla storia che viene raccontata.
Verga viene influenzato dai prinicipi darwiniani. Egli accetta il razionale principio della lotta per la vita, con leggi spietate che garantiscono la selezione naturale.
I luoghi sono: la sciara, la bottega di Pizzuto, la spiaggia,l'osteria, la macelleria, la chiesa



GIADA GIUFFRIDA
Nel cap. III dei “Malavoglia” si assiste alla prima morte. La barca che trasporta i lupini affonda e Bastianazzo muore nella tempesta in mare. Questa morte colpisce e travolge la serenità della moglie La Longa (Maruzza). I luoghi in cui si sviluppa il passo sono: la sciara, la bottega di Pizzuto, la spiaggia, L'osteria, la macelleria, la chiesa, il ballatoio della casa di Maruzza. Per ricostruire il tessuto antropologico -economico culturale, linguistico- della comunità di pescatori di Aci-Trezza, lo scrittore si dedicò ad un intenso lavoro di raccolta di materiali riguardanti le tradizioni, i costumi, i proverbi, servendosi in particolare degli studi degli etnografi Giuseppe Pitrè e Santo Rapisarda. Ma al di là dei materiali che sostanziano la tessitura del romanzo, altri sono gli aspetti interessanti dei Malavoglia. Anzitutto l’eclissi dell’autore, e l’identificazione della voce narrante con un’intera comunità arcaico-rurale, il “coro” dei paesani di Aci-Trezza; una lingua nuova, fondata sull’impasto della lingua italiana con il dialetto siciliano, recuperato non nella sua grezza materialità ma nella sua struttura sintattica, nelle sue forme idiomatiche e locuzioni proverbiali trasposte in lingua. Verga rivisita la concezione manzoniana della lingua (che rischiava di risolversi in un fiorentinismo di maniera) in direzione di un moderno italiano regionale. Egli, secondo le sue stesse parole, riuscì in questo modo a far parlare i pescatori di Aci-Trezza con una “lingua che era intellegibile a gran parte degli italiani ”, e riuscì anche “a raccontare gli avvenimenti come si riflettono nel cuore e nei cervelli dei suoi personaggi” (L.Spitzer). Prendendo le mosse dall’opera dell’amato Zola e dal suo mito positivistico del progresso, Verga osserva come la dinamica che sta alla base di tale mito crei carnefici e vittime, vincitori e vinti, secondo un principio di selezione naturale detto “darwinismo sociale”. Anch’egli si mette dal punto di vista dei vinti, ma, a differenza di Zola, non crede nel mito del progresso, e il suo radicale pessimismo lo induce a non illudersi sulle possibilità di affrancamento e di riscatto dei ceti subalterni. La concezione verghiana della realtà non è dunque solo drammatica, ma essenzialmente tragica. Nel quadro di queste convinzioni, non era possibile conferire al romanzo quell’ “impronta di fresco e sereno raccoglimento” di cui Verga parlava a Capuana in una lettera del 1879.
Marco Siracusano

Maruzza la Longa, moglie di Bastianazzo, in ansi proprio per il viaggio che si trova tenuto a compiere il marito, tant’è che non riesce a stare ferma un attimo, capisce di esser vedova grazie ai comportamenti della gente in paese nei suoi confronti. La gente non parla d’altro se non del carico dei lupini di padron ‘Ntoni. La grande agitazione che si crea, non fa altro che incrementare lo stato d’animo di Maruzza, la quale apprende la scomparsa del marito quando un gruppo di donne che l’aspettava davanti la porta di casa, giunge a lei per consolarla. Alcune donne del gruppo, tengono le mani sul ventre, gesto che indica la partecipazione alla disgrazia da parte di altre madri di famiglia. La reazione di Maruzza è plausibile: con le mani ai capelli scappò a chiudersi in casa.
Ciò che sconvolge, è la reazione di alcuni uomini di fronte a tale disgrazia: molti credevano in questo affare di padron ‘Ntoni, ed erano preoccupati proprio per la perdita economica, più che quella delle due vite. Lo stesso padron ‘Ntoni, che si chiude in se stesso per pensare al commercio dei lupini che avrebbe dovuto garantire alla famiglia se non una situazione di agio, almeno di sicurezza.
Verga si concentra sul punto di vista dei personaggi, diventando quasi un paesano. Si mantiene distante dal ruolo del narratore e si immedesima nelle forme espressive dei personaggi stessi. Come se fossero loro a raccontare a lui la storia.

Verga si lascia influenzare dal razionale principio darwiniano della lotta per la vita. Ovviamente accettando le leggi dettate dalla selezione naturale Darwin sosteneva che a sopravvivere a questa “lotta” sono i più adatti alle condizioni di vita in cui si trovano. Modificando il loro modo di essere in base alle varie condizioni, cosi da poterlo trasmettere ai discendenti con una naturale selezione..


I luoghi sono: la sciara, la bottega di Pizzuto, la spiaggia, L'osteria, la macelleria, la chiesa

2 commenti:

Anonimo ha detto...

GIADA GIUFFRIDA Nel cap. III dei “Malavoglia” si assiste alla prima morte. La barca che trasporta i lupini affonda e Bastianazzo muore nella tempesta in mare. Questa morte colpisce e travolge la serenità della moglie La Longa (Maruzza). I luoghi in cui si sviluppa il passo sono: la sciara, la bottega di Pizzuto, la spiaggia, L'osteria, la macelleria, la chiesa, il ballatoio della casa di Maruzza. Per ricostruire il tessuto antropologico -economico culturale, linguistico- della comunità di pescatori di Aci-Trezza, lo scrittore si dedicò ad un intenso lavoro di raccolta di materiali riguardanti le tradizioni, i costumi, i proverbi, servendosi in particolare degli studi degli etnografi Giuseppe Pitrè e Santo Rapisarda. Ma al di là dei materiali che sostanziano la tessitura del romanzo, altri sono gli aspetti interessanti dei Malavoglia. Anzitutto l’eclissi dell’autore, e l’identificazione della voce narrante con un’intera comunità arcaico-rurale, il “coro” dei paesani di Aci-Trezza; una lingua nuova, fondata sull’impasto della lingua italiana con il dialetto siciliano, recuperato non nella sua grezza materialità ma nella sua struttura sintattica, nelle sue forme idiomatiche e locuzioni proverbiali trasposte in lingua. Verga rivisita la concezione manzoniana della lingua (che rischiava di risolversi in un fiorentinismo di maniera) in direzione di un moderno italiano regionale. Egli, secondo le sue stesse parole, riuscì in questo modo a far parlare i pescatori di Aci-Trezza con una “lingua che era intellegibile a gran parte degli italiani ”, e riuscì anche “a raccontare gli avvenimenti come si riflettono nel cuore e nei cervelli dei suoi personaggi” (L.Spitzer). Prendendo le mosse dall’opera dell’amato Zola e dal suo mito positivistico del progresso, Verga osserva come la dinamica che sta alla base di tale mito crei carnefici e vittime, vincitori e vinti, secondo un principio di selezione naturale detto “darwinismo sociale”. Anch’egli si mette dal punto di vista dei vinti, ma, a differenza di Zola, non crede nel mito del progresso, e il suo radicale pessimismo lo induce a non illudersi sulle possibilità di affrancamento e di riscatto dei ceti subalterni. La concezione verghiana della realtà non è dunque solo drammatica, ma essenzialmente tragica. Nel quadro di queste convinzioni, non era possibile conferire al romanzo quell’ “impronta di fresco e sereno raccoglimento” di cui Verga parlava a Capuana in una lettera del 1879.

Grazia Messina ha detto...

Molto interessante questo vostro lavoro sui Malavoglia. Poichè anche noi (blog 150 anni insieme) siamo interessati all'approfondimento della storia della Sicilia di quel periodo e al contributo di Verga in particolare, vi andrebbe di studiare, ovviamente in modo critico, la novella Libertà?
Potreste così inserire il vostro contributo nel blog, nella pagina LETTERATURA