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lunedì 31 gennaio 2011

Shoah, Giorno della memoria. Ricordiamoci del 27 gennaio 1945

La scrittrice emiliana Ebe Mirka Bonomi
 CI  ha inviato la testimonianza di  un grande maestro , Giuseppe Selmi che, nei campi di concentramento, durante la seconda guerra mondiale, ha eseguito un concerto spirituale e in uno dei suoi spostamenti,il M.Selmi ebbe modo di stringere amicizia con Gianrico Tedeschi e con Primo Levi entrambi  sopravvissuti  come lui all'orrore de quell'inferno.
TESTIMONIANZA AFFINCHE' SI RICORDI L'UOMO NEI SUOI DUE OPPOSTI.GIUSEPPE SELMI.


IL MIO CONCERTO SPIRITUALE NATO IN UN "CASTELLO DI LEGNO".

Fu dunque nell'ottobre 1943,in una baracca del campo di concentramento di Tàrnopol (tra Kiev e Varsavia) che in una mattina sulle cinque,dopo aver dormicchiato alla meglio,quasi in una specie di delirio febbrile (causato anche dal vivere di quel momento e in quell'ambiente sempre così ossessivo e allucinante) l'autore si svegliò con la netta sensazione di avere come "suonato e udito" fino a pochi istanti prima un curioso ed aureo concerto in una specie di sonoro ed aureo sogno.
Nella mente era ancora ben viva la "panoramica generale" del Concerto che si svolgeva in un esauribile cantare del violoncello,intercalato da belle Cadenze e con impasti sonori dolcissimi,diremmo celestiali.
Nella eccitazione particolare di quel momento,primo pensiero dell'autore,fu di poter fissare almeno un qualcosa di tanto bel Concerto.Ma la mente umana non è purtroppo come una macchina fotografica! Pur tuttavia l'autore teneva con sè,sotto il proprio "castello di legno" (giaciglio) una piccola valigetta con dentro la "sua vita" (pezzetti di carta anche la più strana e mozziconi di matite con cui fissare note e notine di temi musicali,di abbozzi di studi e pezzi; il tutto come in un allucinante lavoro giornaliero per non far morire d'inedia anche la mente e lo spirito).
E così, nel semibuio di quella baracca,a quell'ora ancora "addormentata",più scrivendo a lettere che non a note musicali,l'autore fissò per appunti la "costruzione sonora" il più verosimilmente vicina a quella "udita" poco prima.
Naturalmente il lavoro fu rifinito in tutte note musicali nei giorni e mesi che seguirono (trascrivendolo in più copie in minuscoli libriccini per paura che fogli più grandi fossero poi requisiti nelle varie perquisizioni che avvenivano durante i trasferimenti da un campo di concentramento all'altro).
Ma poco prima del S.Natale 1943 il "Concerto" (divenuto Spirituale in relazione alla sua nascita,ai suoi temi e al suo svolgersi) era giù fissato nelle sue linee generali.
La foto sopra a sinistra riproduce uno dei libriccini (contenuto in una mano per dimostrarne la piccola dimensione) dove appunto fu fissato tutto il "Concerto Spirituale".Nel disegno in basso
l'ambiente dove è nato il "Concerto Spirituale"; una baracca con i famosi "castelli".Giuseppe Selmi

Esprimiamo  la nostra infinita gratitudine alla Gentilissima scrittrice per questa toccante testimonianza..

SHOAH  :UN SITO POETICO

giovedì 27 gennaio 2011

Shoah, Giorno della memoria. Ricordiamoci del 27 gennaio 1945

olocausto
"Senza memoria non c’è futuro. Senza il ricordo e lo studio degli orrori di cui l’umanità si è macchiata rischieremmo tutti di rivivere momenti terribili della nostra storia. Per questa ragione la memoria della Shoah dovrà rimanere per sempre come monito per tutti affinchè mai più sia raggiunto quell’abisso".
“Non dimenticare l’abisso per non dimenticare che odio e pregiudizio sono le cause che l’hanno determinato". 




Alla domanda se la memoria si importante, arriva la risposta del premio nobel per la Pace, sopravvissuto ad Auschiwitz e Buchenvwald, Elie Wiesel secondo il quale la memoria non solo importante ma rappresenta un dovere, l’essenza dell’uomo che avanza, passo dopo passo, nei meandri della Storia, per costruire la speranza.
In questo baratro di disperazione e oscurità brillano storia libertà e coraggio, brillano parole di speranza.
Scriveva Elisa Springer, sopravvissuta ad Auschwitz, nel suo libro – testimonianza “il silenzio dei vivi”
« Oggi più che mai, è necessario che i giovani sappiano, capiscano e comprendano: è l’unico modo per sperare che quell’indicibile orrore non si ripeta, è l’unico modo per farci uscire dall’oscurità. E allora, se la mia testimonianza, il mio racconto di sopravvissuta ai campi di sterminio, la mia presenza nel cuore di chi comprende la pietà, serve a far crescere comprensione e amore, anch’io allora, potrò pensare che, nella vita, tutto ciò che è stato assurdo e tremendo, potrà essere servito come riscatto per il sacrificio di tanti innocenti, amore e consolazione verso chi è solo, sarà servito per costruire un mondo migliore senza odio, né barriere.
Un mondo in cui, uomini liberi, capaci e non schiavi della propria intolleranza, abbattendo i confini del proprio egoismo avranno restituito, alla vita e a tutti gli altri uomini, il significato della parola Libertà.
Oggi ho compreso che Dio mi ha concesso di liberarmi dalla prigionia del passato, attraverso le pagine di questo libro ».

lunedì 24 gennaio 2011

Rosso Malpelo - Un film di Pasquale Scimeca

LA SVOLTA VERISTA DI ROSSO MALPELO



Il primo banco di prova del Verga verista è la novella Rosso Malpelo,del 1878, amara denuncia di un mondo di miseria e di violenza; ma negli stessi anni vengono maturate a poco a poco tutti i principali "nodi "della poetica e dell'ideologia verghiana , in una novella del 1879, Fantasticheria , fa per esempio la prima comparsa il cosiddetto "ideale dell'ostrica", all'interno di una cornice che denuncia impietosamente il distacco e l'incomunicabilità tra il raffinato mondo cittadino e il mondo primitivo e miserabile dlle campagne.Eccovi il testo e l'analisi della novella .


                                                             ROSSO MALPELO


venerdì 21 gennaio 2011

2 settembre 1840: nasce lo scrittore " GIOVANNI VERGA" (biografia)


Possiamo definire “I Malavoglia” un romanzo verista. “I Malavoglia” avrebbe dovuto far parte del “Ciclo dei Vinti” nel quale Verga voleva rappresentare i desideri che spingevano molti uomini a mutare stato, a ostinarsi a voler migliorare le proprie condizioni di vita, insieme a “ Mastro don Gesualdo” e altri tre progettati ma mai scritti. Nei Malavoglia viene rappresentata solo la lotta per i bisogni materiali ma gli altri romanzi del ciclo avrebbero dovuto assumere via via toni più alti.
PERSONAGGI
PRINCIPALI: l’intera famiglia dei Malavoglia, presentata direttamente dal narratore all’inizio del romanzo, può essere considerata la protagonista della narrazione. Questi personaggi sono la personificazione tipologica della famiglia di pescatori sconvolta dalle disgrazie ma che cerca sempre di andare avanti a testa alta; il loro spessore psicologico è dato dalle loro stesse parole attraverso il discorso diretto libero. La famiglia è paragonata alle dita della mano:
Padron Ntoni è il capofamiglia, il più anziano; sa molti proverbi simbolo della saggezza popolare,. È un uomo caparbio che non rinuncia mai a fare il suo dovere. Ama il mare e quindi anche il suo mestiere di pescatore. Inizialmente il narratore non descrive in modo dettagliato il personaggio, dice solo che è un vecchio curvo, ma in seguito, quando questi si ammala, lo descrive con maggiore attenzione, come se attraverso la descrizione fisica emergesse anche il profilo psicologico e affettivo. Non si oppone alla società del suo tempo né la subisce, la rispetta con tutte le sue credenze e tradizioni. Il suo animo da sereno qual è nel primo capitolo cambia radicalmente nel corso del romanzo a causa delle disgrazie che egli si trova a dover affrontare: negli ultimi capitoli ci troviamo davanti ad un uomo stanco della vita che, ormai giunto ad un’età avanzata, non aspetta altro che la morte.
Bastianazzo è il figlio di Padron ‘Ntoni, è definito “ grande e grosso” ma è un uomo di buon cuore e lavoratore. Muore ancora giovane in mare nella tempesta in cui è perso il carico di lupini.
La Longa (Maruzza) è la moglie di Bastianazzo, la buona massaia.  Si dà da fare per contribuire al bilancio familiare. La sua serenità svanisce con la morte prematura del marito e poi del figlio Luca; il dolore per queste perdite la invecchia precocemente. La sua vita è spezzata da una grave malattia: il colera.
Ntoni è il figlio maggiore di Bastianazzo e Maruzza. È un ragazzo giudizioso, anche se a volte troppo impulsivo. Col passare degli anni, la sua voglia di lavorare diventa sempre minore, si ribella alla sua condizione di miseria e povertà in un modo insolito: smette di lavorare e va a cercare guai all’osteria e con il contrabbando. Questa vita lo porterà a scontare cinque anni di galera. Dopo essere stato rilasciato, lascia il paese d’origine.
Luca è uno dei figli di Bastianazzo, “un vero Malavoglia”, di buon cuore come il padre e giudizioso. Muore prematuramente in guerra.
Mena che lavorava e tesseva sempre tanto da essere soprannominata “Sant’Agata”, è una figlia giudiziosa e riservata. È soprannominata Sant’Agata per il suo assiduo lavoro al telaio. Dopo la morte della madre sa educare la sorella minore Lia e mandare avanti la casa.
Le disgrazie e i dispiaceri la invecchiano assai precocemente: a soli ventisei anni le sembra già d’essere vecchia.
È molto influenzata dalla società del suo tempo: decide, infatti, di non sposarsi con Alfio Mosca, di cui era innamorata, perché questo avrebbe riportato sulla bocca di tutti la triste sorte della sorella.
Alessi rappresenta la fiducia nel futuro; è un bravo ragazzo, si dà da fare per tirare su la famiglia dopo la morte del nonno, del padre, della madre  e la “fuga” di ‘Ntoni. Riesce a riscattare la casa del Nespolo e ricostruisce la famiglia dei Malavoglia. Sposa una brava ragazza, Nunziata.
Lia: la più piccola della famiglia Malavoglia. Finisce sulle bocche di tutti dopo il processo del fratello e per questo lascia Aci Trezza. Nessuno avrà più sue notizie. Solo Alfio Mosca sa la verità.
SECONDARI: il “secondo protagonista” del romanzo è l’intero paese, composto di personaggi uniti da una stessa cultura ma divisi da antiche rivalità, tipi che parlano e si confondono tra loro creando un effetto corale che nei primi capitoli quasi disorienta il lettore. La Santuzza, l’ostessa che simboleggia l’inganno, don Michele, il brigadiere corrotto, don Silvestro, il segretario che gestisce come una marionetta il sindaco, Alfio Mosca, il carrettiere rassegnato al suo destino di lavoratore, Campana di Legno, un ricco e avaro signore sono alcuni tra i più importanti. Al contrario di ciò che si può pensare, anche l’asino di Alfio Mosca ha un’importanza nell’economia del romanzo. Questo animale è il simbolo dei vinti, dei poveri che devono soltanto lavorare per guadagnare una miseria: “Carne d’asino - borbottava ‘Ntoni - ecco cosa siamo! Carne da lavoro!”.
TEMPO
Le vicende durano circa dieci anni: dal 1865, vale a dire tre anni dopo la spedizione dei Mille di Garibaldi, al 1875, negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia. Il tempo del racconto non è omogeneo: sono frequenti le ellissi e spesso sono narrate intere giornate. Il ritmo è quindi abbastanza accelerato, frammentario e solo in alcuni punti è rallentato da piccole riflessioni e descrizioni. L’elemento dominante è la scena; di conseguenza tempo del racconto e tempo della storia coincidono. Sono in sostanza assenti flashback e anticipazioni. Le indicazioni temporali sono legate solamente alle feste liturgiche e all’alternarsi delle stagioni, elementi tipici caratterizzanti lo scorrere del tempo nella cultura contadina.
LUOGHI
L’intero romanzo è ambientato ad Aci Trezza, piccolo paese abitato per lo più da pescatori vicino Catania. I luoghi esistono solo come nomi senza mai diventare oggetto di minuziosa descrizione.  Il paesino ad esempio è inteso come uno spazio chiuso e unitario dove si svolgono le vicende e al suo interno vi è una sorta di scenografia fissa di luoghi tipici: la farmacia, il sagrato della chiesa, la piazza (luogo dei pettegolezzi), l’osteria dei perdigiorno (luogo di sotterfugi)... La casa è il centro morale ed economico della famiglia. Il mare e il cielo con i suoi “Tre re” sono presenze vive e palpabili che osservano distanti e pacifici le vicissitudini dei personaggi.
RIASSUNTO
Il romanzo narra le vicende di una famiglia di pescatori, i Toscano soprannominati “Malavoglia”, che vive e lavora ad Aci Trezza, un piccolo paese vicino Catania. La famiglia è nota e rispettata da tutti e può considerarsi economicamente agiata grazie soprattutto ai proventi ricavati dalla pesca con la barca chiamata “Provvidenza”. La loro esistenza felice e tranquilla è sconvolta da alcuni fatti come la partenza di ‘Ntoni per il servizio militare, una cattiva annata per la pesca, la necessità di preparare la dote per la figlia maggiore. Padron ‘Ntoni ritiene opportuno comprare a credito dall’usuraio zio Crocefisso un carico di lupini da trasportare in barca per rivenderli in un paese vicino. Purtroppo una tempesta fa affondare la nave; va perduto così il carico, muore Bastiano, figlio del capo famiglia Padron Ntoni, marito di Maruzza e padre di cinque figli: ’Ntoni, Mena, Lia, Luca, Alessi. Tutti cominciano ad arrabattarsi per saldare il debito dei lupini perduti ma presto, durante il servizio militare di leva nella battaglia di Lissa, muore Luca. Distrutti dai dispiaceri, i Malavoglia non riescono a saldare il debito e così viene tolta loro la casa di famiglia, detta la  “Casa del nespolo”. Ormai tutto il paese vede di malocchio i Malavoglia che cercano in tutti i modi lavorare per ottenere i denari per maritare le figlie e per riacquistare la Casa del Nespolo. A moltiplicare le fatiche arriva il colera che si porta via la Longa. Patron Ntoni resta così solo con Alessi e ‘Ntoni a sostenere i nipoti orfani del padre e della madre. Ntoni, dopo il servizio militare, si dà a frequentare l’osteria e al contrabbando ma, accoltellata una guardia doganale, finisce in prigione. La sorellina Lia abbandona il paese e si dà alla prostituzione in città. Il conseguente disonore manda a monte il matrimonio tra Mena e compare Alfio. Il vecchio ‘Ntoni finisce la sua vita in ospedale. Da ultimo resta così Alessi che, dopo essersi sposato, con l’aiuto della sorella Mena ricompra la Casa del Nespolo e tenta di ricostruire l’onore distrutto dei Malavoglia continuando il mestiere del nonno. ‘Ntoni, uscito di prigione, ritorna a casa ma capisce di non poter restarvi e si allontana per sempre.
TEMI
I temi affrontati nel romanzo sono:
La lotta per i bisogni fondamentali dell’uomo
Il lavoro
La fatica incessante per ottenere risultati distrutti poi dalle disgrazie.
L’attaccamento alla roba: è uno degli ideali della popolazione di Aci Trezza. Con roba intendiamo i beni materiali che la famiglia deve possedere per poter vivere dignitosamente, e che all'inizio i Malavoglia avevano, quel tanto che basta per vivere. L'hanno poi perduta con quel carico di lupini, frutto di una speculazione attuata da Padron 'Ntoni, che, così facendo, ha avviato la disgrazia della famiglia. In questo frangente il vecchio patriarca è andato contro alle sue idee, di non tentare mai la fortuna, di sopportare passivamente, e di "fare solo il mestiere che sai" (era molto attaccato ai proverbi), e per questo ha pagato caro. Quando seppe della tragedia sembrava quasi più disperato per i lupini che per il figlio Bastianazzo morto in mare.
NARRATORE
E’ onnisciente quindi conosce tutti i fatti e spesso li anticipa, come nel caso della morte del giovane Luca. Nelle intenzioni del Verga il romanzo doveva essere uno “studio sincero e appassionato” su una comunità di pescatori siciliani; quindi parla in terza persona ed è esterno alla vicenda, infatti non abbiamo alcun intervento personale da parte dell’autore nella narrazione, non si fa mai portavoce dei pensieri dei personaggi ma li lascia parlare liberamente. Appare come un narratore popolare che condivide il modo di comportarsi, i pregiudizi, la mentalità, la cultura del mondo di cui parla.
STILE E LINGUAGGIO
Il romanzo crea l’illusione che a parlare sia il mondo raccontato. Verga applica la formula verista, filtra il racconto attraverso i pensieri e i discorsi dei personaggi; questa è definita la tecnica del “discorso rivissuto” che dà come conseguenza un effetto di vivacità. Viene impiegato un registro informale, popolare tipico della popolazione di Aci Trezza che consiste nell’uso di espressioni dialettali, ripetizioni, proverbi, similitudini popolari, modi di dire come ad esempio “ pareva ci fossero riuniti i buoi della fiera di S. Alfio”, “pareva una gallina quando sta per far l’uovo”, “pareva ci avesse il diavolo in poppa” e periodi brevi; il fatto che sia di cultura popolare è dimostrato dal fatto che fa riferimenti agli animali d’allevamento, al diavolo come spauracchio collettivo, al paese con i suoi luoghi e momenti di ritrovo. Abbiamo quindi una regressione dell’autore al livello culturale ed espressivo del narratore e dei personaggi. Nella sintassi dominano il discorso diretto e quello indiretto libero. Il tempo ha un ordine isocronico: le azioni della fabula scorrono parallele a quelle dell'intreccio (F=I). Per quanto riguarda la durata, visto che in tutto il romanzo prevalgono i dialoghi, è presente la scena, dove il tempo della storia corrisponde al tempo del discorso (T.S.=T.D.); sono però presenti anche diverse descrizioni (T.S.=O). 


martedì 18 gennaio 2011

VERISMO


La genesi
Negli anni settanta si affermò nella narrativa italiana un forte movimento realista che prese il nome di verismo.

DEFINIZIONE
E' un movimento letterario e artistico italiano che ispirandosi al Naturalismo francese e al Positivismo teorizza una rigorosa fedeltà alla realtà effettiva (al «vero») delle situazioni, dei fatti, degli ambienti, dei personaggi e una corrispondenza con il sentire e il parlare dei soggetti che vengono rappresentati.
  • Richiamandosi al naturalismo francese delle opere di Emile Zola, ma anche ad Alessandro Manzoni e alla scapigliatura, il movimento tende a descrivere la vita della gente umile, dei reietti dalla società che si affannano nella lotta per la sopravvivenza, contro la fatalità del destino.
 QUANDO
  • Si sviluppa negli anni successivi all'Unità e prosegue fino al primo decennio del Novecento, raggiungendo la piena maturità nell'ultimo trentennio dell'Ottocento (Verga , Capuana, Serao, De Roberto,Di Giacomo,Deledda,Lorenzini,Giocosa,De Amicis ).

LE CARATTERISTICHE
  • Accettazione delle leggi scientifiche che regolano la vita associata e i comportamenti: lo scrittore cerca di scoprire le leggi che regolano la società umana, muovendo dalle forme sociali più basse verso quelle più alte, come fa lo scienziato in laboratorio quando cerca di scoprire le leggi fisiche che stanno dietro ad un fenomeno.
  • attenzione alla realtà nella dimensione del quotidiano: lo scrittore predilige una narrazione realistica e scientifica degli ambienti e dei soggetti della narrazione;
  • piuttosto che raccontare emozioni, lo scrittore presenta la situazione quotidiana come una indagine scientifica, ricercando le cause del suo evolversi, che sono sempre naturali e determinate (determinismo o darwinismo sociale); anche la vita interiore dell'uomo, spiegabile in termini psico–fisiologici, può essere oggetto di uno studio scientifico o sociale:
... l'oggetto sono i "documenti umani", cioè fatti veri, storici; e l'analisi di tali documenti dev'essere condotta con "scrupolo scientifico" ... (G. Verga)
  • l'artista deve ispirarsi unicamente al vero cioè desumere la materia della propria opera da avvenimenti realmente accaduti e preferibilmente contemporanei, limitandosi a ricostruirli obiettivamente ovvero rispecchiando la realtà in tutti i suoi aspetti e a tutti i livelli sociali.
  • necessità di una riproduzione obiettiva ed integrale della realtà, secondo quel canone dell'impressionalità che è l'applicazione in letteratura del principio scientifico della non interferenza dell'osservatore sugli oggetti osservati (deriva dal Positivismo);
  • a causa delle diversità regionali rappresentate dagli scrittori anche il modo di scrivere cambia nel verismo dando spazio ai dialetti, eliminando tutte le forme di raffinatezza retorica e accademica e introducendo la mimesi linguistica.
LE REGOLE
  • L'artista deve ispirarsi unicamente al vero, cioè deve desumere la materia della propria opera da avvenimenti realmente accaduti e preferibilmente contemporanei, limitandosi a ricostruirli obiettivamente rispecchiando la realtà in tutti i suoi aspetti e a tutti i livelli sociali; è la teoria verghiana dell'impersonalità: il narratore entra pienamente nei suoi personaggi per raccontare documenti umani.
  • Il narratore è colui che raccoglie il fremito delle passioni, delle sofferenze e lo rivela, impassibile, senza biasimi o esaltazioni, mettendosi in parte per lasciar parlare l'evidenza dei fatti, la logica delle cose: teoria verghiana dell'impersonalità.
  • L'autore deve mettersi nella pelle dei suoi personaggi, vedere le cose con i loro occhi ed esprimerle con le loro parole. In tal modo la sua mano «rimarrà assolutamente invisibile» nell'opera. Il lettore avrà così l'impressione non di sentire un racconto di fatti, ma di assistere a fatti che si svolgono sotto i suoi occhi.
  • Il narratore, nel far parlare i suoi personaggi, usa il loro linguaggio: uno stile stringato, una sintassi semplice e disadorna, una lingua paesana e viva, continuamente intercalata da espressioni popolaresche e proverbiali che mettono in luce l'oggettività della narrazione (senza intrusioni autobiografiche).
  • La lingua e lo stile devono essere aderenti ai personaggi, agli ambienti, attingendo possibilmente alle risorse dei dialetti regionali. Il linguaggio è liberato da ogni raffinatezza teorica e accademica.
  • Al riguardo si parla di mimesi linguistica dell'autore (mimetizzazione = nascondersi nell'ambiente circostante in modo da risultare non–visibile).
  • Capuana respinge la subordinazione della letteratura a scopi estrinsechi quale la dimostrazione "sperimentale" di tesi scientifiche e l'impegno politico e sociale. La "scientificità" non deve consistere nel trasformare la narrazione in esperimento per dimostrare le tesi scientifiche, ma nella tecnica con cui lo scrittore rappresenta, che è simile al metodo dell'osservazione scientifica. La scientificità insomma si manifesta solo nella forma artistica, nella maniera con cui l'artista crea le sue figure e organizza i suoi materiali espressivi.
  • Secondo Verga, la rappresentazione artistica deve possedere "l'efficacia dell'esser stato", deve conferire al racconto l'impronta di cosa realmente avvenuta; per far questo deve riportare "documenti umani". Neppure basta che ciò che viene raccontato sia reale e documentato, deve anche essere raccontato in modo da porre il lettore faccia a faccia col fatto nudo e schietto, in modo che non abbia l'impressione di vederlo attraverso la "lente dello scrittore". Per questo lo scrittore deve "eclissarsi", cioè non deve comparire nel narrato con le sue reazioni soggettive e con le sue riflessioni.
I TEMI E I SOGGETTI
Lo scrittore verista:
  • si occupa di situazioni quotidiane reali, vissute cioè nella scottante realtà nazionale: le plebi meridionali, il lavoro minorile, l'emigrazione;
  • cerca il vero attraverso l'analisi delle classi subalterne, però la verità non porta al progresso ma svela una condanna a morte;
  • predilige gli ambienti delle plebi rurali perché non ancora contaminate dai pregiudizi della convenzione sociale;
  • predilige gli ambienti regionali e gli strati sociali piccolo–borghesi;
  • gli ambienti sociali sono in maggioranza cittadine di provincia, di campagna, miniere o ambienti di piccola e media borghesia e di aristocratici decaduti.
  • Il verismo italiano ebbe una forte caratterizzazione regionale e, poiché le realtà regionali italiane erano profondamente diversicate, diversi furono pure i temi e gli ambienti rappresentati dai veristi.
  • Al nord, la maggiore articolazione della compagine sociale, con l'affermarsi, accanto ai ceti elitari, di una media e piccola borghesia costituita da professionisti e da ceti impiegatizi legati all'apparato industriale, porta all'ampliamento della "base sociale" della letteratura, cioè al numero degli autori e dei lettori, parallelamente a nuove a varietà letterarie, dal romanzo di consumo al romanzo di appendice. La nuova cultura positivista, i nuovi usi e modelli di comportamento legati alla rivoluzione tecnologica, spostano l'attenzione su nuovi tipi umani e su nuovi problemi: protagonista dei romanzi e del teatro, accanto al contadino e al pescatore, è l'impiegato (De Marchi). Nuovi eroi, come è stato osservato, sono l'industriale, lo scienziato, il medico e il maestro (De Amicis). I nuovi temi sono quelli della famiglia, fondamentale cellula della società e quelli dell'adulterio e della prostituzione.
  • Al sud, il verismo, non essendovi un proletariato urbano o i bassifondi di una capitale tentacolare da "studiare", si interessò all'umile vita dei contadini e dei pastori con le loro passioni elementari. Ad un mondo «pressochè vergine e ignoto, il mondo del meridione e delle isole, delle plebi contadine e artigiane, chiuse nella loro opaca renitenza alle forme e agli statuti della civiltà moderna, affioranti per così dire dal buio di una civiltà arcaica, stranamente sopravvissuta dietro le barriere di una secolare solitudine». Questa fu infine la vocazione del verismo italiano, e nel ritrarre la vita dei contadini e delle plebi il verismo ottenne i suoi migliori risultati. Non a caso gli scrittori più rappresentativi della corrente, da Verga a Capuana, da De Roberto alla Deledda, furono meridionali o isolani.
LE OPERE più SIGNIFICATIVE

Il romanzo  GIACINTA    di Luigi Capuana può essere considerato una delle opere più rappresentative del Verismo. Narra di un caso di suicidio che viene studiato, dall'autore, con una fermezza scientifica se non addirittura clinica. Altro colosso del verismo è I Malavoglia( VIDEO) di Giovanni Verga, opera che tratta la lotta, ai livelli più bassi della scala sociale siciliana, per i bisogni primari della vita quando comincia a farsi viva nell'anima delle persone la voglia di benessere. L'ambiente umano è umile, culturalmente lontano dal narratore che lo descrive senza interventi personali cosicché possa risultare assolutamente veritiero.

venerdì 14 gennaio 2011

NATURALISMO

Gustave Courbet. Gli spaccapietre. 1849. Olio su tela. Già a Dresda, Gemaldegallerie, l'opera è stata distrutta durante la seconda guerra mondiale.

 

Si intende per naturalismo, più che un movimento, una corrente di opinione, nata in Francia durante la grande rivoluzione industriale, per l'influenza del pensiero scientifico e filosofico (positivismo) e delle nuove ideologie politiche e sociali.
I PRECURSORI :l'interesse per i fenomeni sociali era già presente nel realismo sociologico di Honorè De Balzac ,che nella sua “Commedia Umana”aveva analizzato personaggi appartenenti a diverse generazioni e a diversi ambienti.
Ma fu G.Flaubert lo scrittore che i naturalisti indicheranno come loro maestro.Egli infatti nei suoi romanzi aveva impresso una svolta radicale alla tradizione del realismo romantico:
nei contenuti,mostrando l'impossibilità di continuare a nutrire romantiche illusioni(in particolare l'amore e l'idealismo politico) in un tempo e in una società contrassegnati ormai dal grigiore e dalla banalità quotidiana;
nello stile, adottando una rigorosa impersonalità che sopprimeva gli interventi diretti e  i commenti del narratore su vicende e personaggi, così frequenti nella tradizione romantica del primo Ottocento.
I MAGGIORI RAPPRESENTANTI
Il maggiore rappresentante del naturalismo fu Émile Zola, che ne fu il teorico e divulgatore il quale si vantava di avere adottato nello scrivere gli stessi metodi di indagine degli scienziati; prodotto di questa scelta fu il grande ciclo di romanzi dei Rougon-Macquart.
La poetica fu elaborata da Zola il quale ne fissò I principi nella teoria del romanzo sperimentale, per la quale lo scrittore:
  • non deve inventare ma osservare la realtà per poi riprodurla oggettivamente;
  • nella rappresentazione dei fatti egli deve attenersi alle leggi scientifiche che spiegano i comportamenti sociali;
  • la sua scrittura deve essere un documento oggettivo dal quale non deve trasparire alcun intervento soggettivo dell'autore.
Nell'elaborare la sua poetica Zola fece propria la formula dello storico H.Taine , IL quale sosteneva che le azioni umane sono determinate da tre fattori: il momento storico,l'ambiente sociale, la razza e cioè i fattori ereditari.
I TEMI prediletti della narrativa naturalista furono chiaramente antidealistici e antiromantici:
  • la vita quotidiana con il suo grigiore, la sua banalità, le sue piccole ipocrisie e la sua meschinità
  • le passioni morbose al limite della patologia psichiatrica,la follia, il crimine;
  • le condizioni di vita delle classi subalterne, specie del proletariato urbano, vero esempio di patologia sociale prodotto dalla miseria: prostituzione,alcolismo, delinquenza minorile.
La scelta di tali temi faceva sì che la narrazione naturalista portasse con sè una forte carica di denuncia sociale.

vedi Simbolismo
approfondimenti Naturalismo e Verismo

Gustave Courbet

martedì 11 gennaio 2011

Il percorso travagliato di Leopardi


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Al periodo 1818-1822 appartengono le Canzoni di stampo classicistico (All’Italia, Sopra il monumento di Dante, Ad Angelo Mai, Ad un vincitore nel gioco del pallone, Nelle nozze della sorella Paolina, Bruto minore, Ultimo canto di Saffo) dai temi ora esistenziali, ora politico-civili.
La base del pensiero è costituita dal “pessimismo storico” che caratterizza la visione leopardiana in questo momento.Le opere di questo periodo sono animate da acri spunti polemici contro l'età presente, inerte e corrotta, incapace di azioni eroiche; a questa polemica si contrappone un'esaltazione delle età antiche, generose e magnanime. La più significativa è Ad Angelo Mai: oltre alla polemica contro l'Italia presente e alla nostalgia dell'antichità, vi compare il motivo del «caro immaginar» e dei «leggiadri sogni», che sono dissolti dalla conoscenza razionale del «vero», che accresce solo il senso del nulla e la noia. Invece, nel Bruto minore e nell'Ultimo canto di Saffo, Leopardi non parla in prima persona, ma delega il discorso poetico a due personaggi dell'antichità, entrambi suicidi, Bruto, l'uccisore di Cesare, e la poetessa greca Saffo.


Contemporaneamente (1819-1821)Leopardi lavora ai Piccoli Idilli.
Etimologia: lat. idyllium , dal greco eidyllion poemetto.
La sua origine risale all'attività classificatoria dei grammatici alessandrini, che definirono idilli i carmi di Teocrito (III sec. a. C.), intesi come componimenti brevi e umili. Per la natura pastorale della poesia teocritea, oggi il termine indica per lo più bozzetti, idealizzazione nella vita campestre. L'idillio greco (Mosco e Bione), influenzò poeti latini (Tibullo, Ovidio, Egloghe di Virgilio), mentre l'atmosfera dell'idillio classico fornì alcune caratteristiche della poesia bucolica, sviluppata soprattutto nel XVIII sec. Nella letteratura moderna, composizione di varia natura, con forte intonazione serena e sentimentale.

Il pessimismo storico giunge a una svolta: si delinea l'idea di un'umanità infelice non solo per ragioni storiche, ma per una condizione assoluta. Un carattere molto diverso presentano gli Idilli, sia nelle tematiche, intime e autobiografiche, sia nel linguaggio, più colloquiale e di limpida semplicità. creato dall'immaginazione, a partire da sensazioni visive e uditive.
Gli idilli leopardiani prendono spunto da motivi paesistici ed autobiografici, per poi ripiegarsi in meditazioni, ricordi,sensazioni che egli stesso definì"situazioni,affezioni,avventure storiche " dell'animo.
Si tratta di piccoli quadri in cui il poeta  descrive il suo paesaggio interiore.
 

Fra questi ricordiamo   L'infinito   e Alla luna. In queste liriche due sono i motivi dominanti: il tema dell’infinito, che si concretizza nel desiderio di andare al di là del limite, verso una pura immensità, verso una vita autentica e felice; il tema del ricordo, il quale dà all’uomo il senso di continuità fra passato e presente e gli permette di esercitare la facoltà poetica più importante, cioè l’immaginazione.
Le Operette morali
Chiusa la stagione delle canzoni e degli idilli, comincia per Leopardi un silenzio poetico che durerà fino alla primavera del '28. Egli stesso lamenta la fine delle illusioni giovanili, lo sprofondare in uno stato d'animo di aridità e di gelo, che gli impedisce ogni moto dell'immaginazione e del sentimento. Per questo intende dedicarsi soltanto all'investigazione dell'«arido vero». Da questa disposizione nascono le Operette morali, quasi tutte composte nel 1824, di ritorno da Roma, dopo la delusione subita nel suo primo contatto con la realtà esterna alla «prigione» di Recanati. Le Operette morali sono prose di argomento filosofico. Leopardi vi espone il “sistema” da lui elaborato, attingendo al vasto materiale accumulato nello Zibaldone. Ma non lo espone in forma sistematica, bensì attraverso una serie di invenzioni fantastiche, miti, allegorie, paradossi, apologhi, veri e propri canti lirici in prosa. Molte delle operette sono dialoghi, i cui interlocutori sono creature immaginose, personificazioni, personaggi mitici o favolosi; in altri casi si tratta di personaggi storici, oppure di personaggi storici mescolati con esseri bizzarri o fantastici. In alcune operette l'interlocutore principale è proiezione dell'autore stesso. Anche le invenzioni più aeree si concentrano intorno ai temi fondamentali del pessimismo: l'infelicità inevitabile dell'uomo, l'impossibilità del piacere, la noia, il dolore, i mali materiali che affliggono l'umanità.. In particolare, esse segnano il passaggio dal pessimismo storico (secondo cui l’uomo e la ragione sono causa dell’umana infelicità) al pessimismo cosmico (che, al contrario, reputa la Natura colpevole delle umane sofferenze). Fra queste si ricordano il Dialogo della Natura e di un Islandese, il Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo, il Dialogo di Tristano e di un Amico.

I grandi idilli
Il 2 maggio 1828 Leopardi scrive alla sorella Paolina da Pisa: «Ho fatto dei versi quest'aprile, ma versi veramente all'antica, e con quel mio cuore d'una volta». Il lungo periodo di silenzio poetico si è concluso. Il poeta assiste a un «risorgimento» delle sue facoltà di sentire, commuoversi e immaginare. Tornato a Recanati alla fine di quell'anno, non vede interrompersi il felice momento creativo nemmeno nei sedici mesi di «notte orribile» trascorsi nella casa paterna. Questi componimenti riprendono temi, atteggiamenti, linguaggio degli “idilli” del '19-'21: le illusioni e le speranze, proprie della giovinezza, le rimembranze, quadri di vita borghigiana e di natura serena e primaverile, la suggestione di immagini e suoni vaghi e indefiniti, il linguaggio limpido e musicale, lontano dall'aulicità ardita del linguaggio delle canzoni. Questi componimenti non sono la semplice ripresa della poesia di dieci anni prima, nel mezzo si collocano esperienze decisive, la fine delle illusioni giovanili, l'acquisita consapevolezza del «vero», la costruzione di un sistema filosofico fondato su di un pessimismo assoluto. La caratteristica che individua i grandi idilli è un miracoloso equilibrio che si instaura tra due spinte che dovrebbero essere contrastanti, il «caro immaginar» e il «vero». 
I Grandi Idilli o Canti pisano- recanatesi (1828-1830): A Silvia, il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, Le ricordanze, Il sabato del villaggio. In essi ricorrono : il ricordo di un passato ormai lontano; la poetica del vago e dell’indefinito; il topos leopardiano del colloquio con la luna; il pessimismo cosmico per cui è “funesto a chi nasce il dì natale” (Canto notturno).
L'ultimo Leopardi

L'ultima stagione leopardiana, che si colloca dopo il '30 e dopo l'allontanamento definitivo da Recanati, segna una svolta di grande rilevo rispetto alla poesia precedente. Leopardi appare più orgoglioso di sé, della propria grandezza spirituale, più pronto e combattivo nel diffondere le sue idee, nel contrapporle polemicamente alle tendenze dominanti dell'epoca. L'apertura si verifica anche sul piano umano, interpersonale. Si tratta di una poesia profondamente nuova, lontanissima da quella idillica: il discorso non si basa più sulle immagini vaghe e indefinite, né vi è più il linguaggio limpido e musicale che a quelle immagini si intonava; si ha una poesia nuda, severa, quasi priva di immagini sensibili; vi compaiono atteggiamenti energici, combattivi, eroici; il linguaggio si fa aspro, antimusicale, la sintassi complessa e spezzata. Alla base di una simile poesia si può individuare una vera e propria «nuova poetica», diversa da quella del vago e indefinito, ancora seguita nella stagione dei grandi idilli. La critica leopardiana si indirizza contro tutte le ideologie ottimistiche che esaltano il progresso e profetizzano un miglioramento indefinito della vita degli uomini, grazie alle nuove scienze sociali ed economiche e alle scoperte della tecnologia moderna; bersaglio polemico sono inoltre le tendenze di tipo spiritualistico e neocattolico che si vanno sempre più affermando nel periodo della Restaurazione. A queste ideologie Leopardi contrappone le proprie concezioni pessimistiche che escludono ogni miglioramento della condizione umana. Questa polemica è condotta attraverso varie opere. La Palinodia al marchese Gino Capponi è una sorta di satira di sapore pariniano nei confronti di una società moderna e della sua fede nelle conquiste del progresso sociale e tecnologico, che ha la forma di un'ironica ritrattazione (palinodia significa appunto “ritrattazione”) 

Fra il 1833 ed il 1835 realizza il cosiddetto Ciclo di Aspasia, includente Amore e morte, Consalvo, Il pensiero dominante, A se stresso, Aspasia.
Il poeta appare affranto ma non rassegnato; vuole rivendicare la sua dignità e grandezza; pertanto l’amore per Aspasia è l’estremo tentativo di affermare il suo “diritto alla felicità”. Appartengono agli ultimi anni, trascorsi sempre più ansiosamente nell’attesa della morte, quale liberazione dalle sofferenze, Il tramonto della luna (1836) e La ginestra (1836).Quest’ultima è la summa della meditazione poetica dell’ultimo Leopardi; è un messaggio agli uomini, affinché, in modo solidale e fraterno, si coalizzino contro la Natura Malvagia. Molte riflessioni di Leopardi sono confluite nelle Zibaldone (I ediz. 1898) : si tratta di appunti su varie materie, dalla filologia alla politica, dalla letteratura alla filosofia. In particolare vi è spiegata la sua ricorrente teoria del piacere, secondo cui l’uomo ha in sé un desiderio di piacere infinito, che, in quanto tale, è irrealizzabile; pertanto, se prova piacere, esso può essere solo temporaneo, in quanto dovuto ad una momentanea cessazione del dolore. La produzione leopardiana è vasta e problematica ;accompagna l’evoluzione di pensiero del poeta che, negli ultimi anni della sua vita, nonostante la definitiva caduta di ogni illusione, afferma l’umana dignità ed il desiderio di un’esistenza più stabile e civile. Elemento cardine della sua ideologia resta comunque la concezione materialistica e pessimistica dell’uomo, inevitabilmente destinato all’infelicità.

venerdì 7 gennaio 2011

FELICE ANNO 2011

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Ragazzi, come rappresentante della 5 E insieme al mio collega, vi auguriamo un felice anno..
Che il 2010, appena andato via, porti con sè lacrime, gioie, momenti da ricordare ,altri semplicemente da dimenticare. Auguro a tutti di portare le cose migliori al nuovo anno e di lasciare in un cassetto quelle che hanno fatto male. Un bacio a tutti anche a lei cara proff, AUGURONIIIIIIIIIIIIIIII

MARIANGELA