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domenica 29 novembre 2009

CANTIERE DI SCRITTURA DANTESCA (CANTO V)


MARIANGELA LEOTTA


1) I tre personaggi che parlano con Dante furono contemporanei del poeta e, i primi due (Jacopo del Cassero e Buonconte da Montefeltro)furono i massimi protagonisti degli avvenimenti e della vita politica del periodo. Dante ricostruisce episodi legati alla loro morte violenta. In particolare si sofferma sulla vicenda di Buonconte:intorno alla misteriosa scomparsa del suo corpo dopo la battaglia di Campaldino erano sorte diverse dicerie,e Dante fornisce qui la sua versione. Appunto il ricordo della battaglia di Campaldino unisce il tema storico con quello biografico,poiché Dante vi partecipò tra i “feditori” fiorentini schierati contro gli Aretini guidati da Buonconte ;da qui la particolare vivacità e partecipazione nella descrizione dell’avvenimento.
Il terzo personaggio è Pia de’Tolomei la cui figura si risolve tutta nei sette versi finali del cantoe la sua vicenda è delineata con delicate allusioni mentre ispira commossa pietà. La gentilezza di quest’anima,che prende rilievo anche nel contrasto con i due cruenti personaggi precedenti, è esemplare della sensibilità dantesca nella costruzione delle figure femminili. Pia richiama direttamente la figura di Francesca nel canto V dell’inferno .

2) sono gli spiriti già per forza morti/e peccatori infino a l’ultima ora(vv52-53) . Camminano lentamente come in processione,cantando in coro il Miserere. Essi sono soggetti alla stessa legge,che trattiene tutte le anime dei negligenti fuori dal Purgatorio per un certo periodo di tempo. Dante in questo caso non determina esplicitamente quanto debba durare quest’attesa . La pena è proprio l’attesa per arrivare alla purificazione e quindi in Paradiso e le anime ,sia nel canto III ,che nel V, chiedono a Dante suffragio per le loro anime, questo perché grazie alle preghiere dei parenti possono diminuire questa attesa.

TROVATO MANILA

1)Dante e Virgilio lungo la costa fanno un incontro con un’altra schiera di anime che vanno cantando il salmo “Miserere” (abbi pietà) . sono le anime dei morti per violenza subita, che si pentirono in punto di morte; la loro pena era di attendere nell’antipurgatorio, prima di essere ammessi all’espirazione del monte del Purgatorio, tanto tempo quanto vissero. Tre di queste anime narrano a Dante la loro tragica morte:
• JACOPO DEL CASSERO: ucciso dai sicari di Azzo VIII d’Este , signore di Ferrara ;
• BONCONTE DA MONTEFELTRO: scomparso nella battaglia di Campaldino, racconta a Dante che ferito alla gola perse i sensi e morì, invocando il nome di Maria.
• PIA DEI TOLOMEI: nobile senese, forse appartenente alla famiglia dei Tolomei, andò sposa al signore del castello della pietra in Maremma, secondo alcuni commentatori antichi, il marito la uccise per risposarsi . Pia invita Dante a ricordarla ai vivi.
2) le anime che Dante ha incontrato nel canto III e nel canto V chiedono le preghiere del suffragio che sottolineano un rapporto fra il mondo dei vivi e quello dei morti, perché , questi ultimi chiedono di essere ricordati ai loro parenti vivi così che, grazie a queste preghiere la loro attesa potrà diminuire.




giovedì 19 novembre 2009

CANTO V PURGATORIO

Canto V

Io era già da quell’ombre partito,

e seguitava l’orme del mio duca,

3 quando di retro a me, drizzando ’l dito,

una gridò: "Ve’ che non par che luca

lo raggio da sinistra a quel di sotto,

6 e come vivo par che si conduca!".

Li occhi rivolsi al suon di questo motto,

e vidile guardar per maraviglia

9 pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto.

"Perché l’animo tuo tanto s’impiglia",

disse ’l maestro, "che l’andare allenti?

12 che ti fa ciò che quivi si pispiglia?

Vien dietro a me, e lascia dir le genti:

sta come torre ferma, che non crolla

15 già mai la cima per soffiar di venti;

ché sempre l’omo in cui pensier rampolla

sovra pensier, da sé dilunga il segno,

18 perché la foga l’un de l’altro insolla".

Che potea io ridir, se non "Io vegno"?

Dissilo, alquanto del color consperso

21 che fa l’uom di perdon talvolta degno.

E ’ntanto per la costa di traverso

venivan genti innanzi a noi un poco,

24 cantando "Miserere" a verso a verso.

Quando s’accorser ch’i’ non dava loco

per lo mio corpo al trapassar d’i raggi,

27 mutar lor canto in un "oh!" lungo e roco;

e due di loro, in forma di messaggi,

corsero incontr’a noi e dimandarne:

30 "Di vostra condizion fatene saggi".

E ’l mio maestro: "Voi potete andarne

e ritrarre a color che vi mandaro

33 che ’l corpo di costui è vera carne.

Se per veder la sua ombra restaro,

com’io avviso, assai è lor risposto:

36 fàccianli onore, ed essere può lor caro".

Vapori accesi non vid’io sì tosto

di prima notte mai fender sereno,

39 né, sol calando, nuvole d’agosto,

che color non tornasser suso in meno;

e, giunti là, con li altri a noi dier volta

42 come schiera che scorre sanza freno.

"Questa gente che preme a noi è molta,

e vegnonti a pregar", disse ’l poeta:

45 "però pur va, e in andando ascolta".

"O anima che vai per esser lieta

con quelle membra con le quai nascesti",

48 venian gridando, "un poco il passo queta.

Guarda s’alcun di noi unqua vedesti,

sì che di lui di là novella porti:

51 deh, perché vai? deh, perché non t’arresti?

Noi fummo tutti già per forza morti,

e peccatori infino a l’ultima ora;

54 quivi lume del ciel ne fece accorti,

sì che, pentendo e perdonando, fora

di vita uscimmo a Dio pacificati,

57 che del disio di sé veder n’accora".

E io: "Perché ne’ vostri visi guati,

non riconosco alcun; ma s’a voi piace

60 cosa ch’io possa, spiriti ben nati,

voi dite, e io farò per quella pace

che, dietro a’ piedi di sì fatta guida,

63 di mondo in mondo cercar mi si face".

E uno incominciò: "Ciascun si fida

del beneficio tuo sanza giurarlo,

66 pur che ’l voler nonpossa non ricida.

Ond’io, che solo innanzi a li altri parlo,

ti priego, se mai vedi quel paese

69 che siede tra Romagna e quel di Carlo,

che tu mi sie di tuoi prieghi cortese

in Fano, sì che ben per me s’adori

72 pur ch’i’ possa purgar le gravi offese.

Quindi fu’ io; ma li profondi fóri

ond’uscì ’l sangue in sul quale io sedea,

75 fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,

là dov’io più sicuro esser credea:

quel da Esti il fé far, che m’avea in ira

78 assai più là che dritto non volea.

Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira,

quando fu’ sovragiunto ad Orïaco,

81 ancor sarei di là dove si spira.

Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco

m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’io

84 de le mie vene farsi in terra laco".

Poi disse un altro: "Deh, se quel disio

si compia che ti tragge a l’alto monte,

87 con buona pïetate aiuta il mio!

Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;

Giovanna o altri non ha di me cura;

90 per ch’io vo tra costor con bassa fronte".

E io a lui: "Qual forza o qual ventura

ti travïò sì fuor di Campaldino,

93 che non si seppe mai tua sepultura?".

"Oh!", rispuos’elli, "a piè del Casentino

traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano,

96 che sovra l’Ermo nasce in Apennino.

Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano,

arriva’ io forato ne la gola,

99 fuggendo a piede e sanguinando il piano.

Quivi perdei la vista e la parola;

nel nome di Maria fini’, e quivi

102 caddi, e rimase la mia carne sola.

Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi:

l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno

105 gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?

Tu te ne porti di costui l’etterno

per una lagrimetta che ’l mi toglie;

108 ma io farò de l’altro altro governo!".

Ben sai come ne l’aere si raccoglie

quell’umido vapor che in acqua riede,

111 tosto che sale dove ’l freddo il coglie.

Giunse quel mal voler che pur mal chiede

con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento

114 per la virtù che sua natura diede.

Indi la valle, come ’l dì fu spento,

da Pratomagno al gran giogo coperse

117 di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento,

sì che ’l pregno aere in acqua si converse;

la pioggia cadde, e a’ fossati venne

120 di lei ciò che la terra non sofferse;

e come ai rivi grandi si convenne,

ver’ lo fiume real tanto veloce

123 si ruinò, che nulla la ritenne.

Lo corpo mio gelato in su la foce

trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse

126 ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce

ch’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse;

voltòmmi per le ripe e per lo fondo,

129 poi di sua preda mi coperse e cinse".

"Deh, quando tu sarai tornato al mondo,

e riposato de la lunga via",

132 seguitò ’l terzo spirito al secondo,

"ricorditi di me, che son la Pia;

Siena mi fé, disfecemi Maremma:

135 salsi colui che ’nnanellata pria

disposando m’avea con la sua gemma".

Allinea a sinistra

Chiude il canto Pia dei Tolomei. Pronuncia soltanto sei versi, di lapidaria espressività e bellezza:
"'Deh, quando tu sarai tornato al mondo
e riposato de la lunga via'",
seguitò 'l terzo spirito al secondo,
"'ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma;
salsi colui che 'nnanellata pria
disposando m'avea con la sua gemma'".

Della famiglia senese dei Tolomei, su Pia circolano varie leggende.
Dalle parole di Pia emana una dolcezza tutta femminile, la malinconia per la sua sorte e il rimpianto per la sua esistenza terrena, per un matrimonio che poteva essere felice e che invece è stato spezzato da una violenza terribile.

SPUNTI PET LA RIFLESSIONE

1.INDIVIDUATE IN CHE MODO ESSA SI DISTINGUE DAI DUE PERSONAGGI CHE L'HANNO PRECEDUTA.

2.IL LEIT-MOTIV DELLE PREGHIERE DI SUFFRAGIO SOTTOLINEA UN RAPPORTO FRA IL MONDO DEI VIVI E IL MONDO DEI MORTI ASSENTE DEL TUTTO NELLA PRIMA CANTICA.SVILUPPATE IL TEMA.



domenica 15 novembre 2009

CANTIERE DI SCRITTURA DANTESCA (CANTO III)





GIADA GIUFFRIDA


Purgatorio canto III

1) Dante e Virgilio si trovano ai piedi del monte del Purgatorio, quando scorgono un gruppo di anime, che procedono simili a pecorelle, quando escono dal recinto da sole o a gruppi di due e di tre, e le altre intanto si fermano timide abbassando verso terra il muso e gli occhi, e quello che fa la prima fanno anche le altre, stringendosi a lei, se si ferma, obbedienti e tranquille, e non capiscono il perché di quella sosta. La similitudine presuppone un’attenta osservazione realistica. Le pecore sono, già nei Vangeli, simbolo di mansuetudine e innocenza: qui rappresentano le anime che si affidano completamente al volere di Dio. Inoltre le pecore si stupiscono nel vedere l’ombra proiettata da Dante. Virgilio spiega che Dante è vivo ed è lì per volere di Dio, e una di esse indica loro da che parte andare. 2) Dante e Virgilio incontrano uno spirito, biondo e di nobile aspetto, mostrandosi piagato da ferite; e poiché Dante non lo riconosce, rivela di essere Manfredi, figlio di Federico II di Svevia, morto nella battaglia di Benevento. Egli deve passare nell’Antipurgatorio un periodo pari a trenta volte quello che ha vissuto in terra come scomunicato, anche se si è pentito in fin di vita, a meno che le preghiere dei vivi non abbrevino la sua pena. 3) MANFREDI Figlio naturale di Federico II e Bianca Lancia, Manfredi nacque nel 1232. Alla morte del padre, avvenuta nel 1250, divenne reggente del regno di Sicilia, al posto del legittimo successore Corrado IV di Svevia, suo fratello, che si trovava in Germania. Morto Corrado, la corona sarebbe dovuta andare al figlio Corradino, ma Manfredi fece diffondere la notizia della morte di quest’ultimo e si fece incoronare a Palermo nel 1259. La sua politica proseguì fin dall’inizio quella del padre: era aperta, infatti, l’ostilità verso la Chiesa, che lo considerava a tutti gli effetti un usurpatore. Perciò fu scomunicato nel 1259. Inoltre egli tentò di riunire sotto il suo comando tutte le forze ghibelline italiane. Papa Urbano IV, per contrastarlo, chiese l’intervento di Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia. Egli scese in Italia nel 1266 e affrontò Manfredi sul campo di battaglia: a Benevento l’esercito svevo venne sconfitto e Manfredi rimase ucciso. Secondo quanto ricorda Dante, le sue spoglie vennero profanate dal vescovo di Cosenza, che le fece prelevare dal luogo in cui Carlo d’Angiò aveva dato loro sepoltura, per poi lasciarle insepolte al di fuori del regno di Sicilia. Dante celebra la bellezza leggendaria e la nobiltà d’animo di Manfredi, accogliendo l’ipotesi della conversione in punto di morte. L’episodio di Manfredi ha al centro il tema del conflitto fra Impero e Papato o, più in generale, fra potere temporale e potere spirituale. La scomunica, infatti, ha una causa politica; così come ha un valore politico e simbolico la dissepoltura dei resti del sovrano, esposti all’oltraggio e sparsi nel territorio dello Stato della Chiesa. La condanna dell’operato di Clemente IV e del vescovo di Cosenza è esplicita: non sanno riconoscere la “bontà infinita” di Dio, né esercitare la pietà nei confronti delle anime che sono affidate loro. Tuttavia, Dante vuole salvare la dignità delle due grandi istituzioni, Impero e “Santa Chiesa”, nonostante gli orribili peccati di Manfredi e l’indegnità del clero. Così, la scomunica è valida anche nell’aldilà, e non importa che sia stata inflitta per motivi terreni, e al tempo stesso Manfredi è presentato come legittimo erede del potere imperiale. Impero e Papato, che debbono essere separati nell’esercizio del potere rispettivamente temporale e spirituale, sono infatti voluti da Dio per garantire all’uomo la felicità terrena e la salvezza eterna (come spiega Dante nella Monarchia). Il caso di Manfredi dimostra come sia la commistione dei due ruoli a generare confusione pubblica e infelicità individuale.
APPROFONDIMENTO SUL TEMA del III canto I due episodi del canto sono collegati dal tema del corpo. Prima, Dante è stupito dell’assenza di ombra di Virgilio, puro spirito, mentre il poeta ricorda il proprio cadavere sepolto a Napoli e riflette sul mistero per cui le anime possono avere sensazioni fisiche; poi, Manfredi esibisce le ferite che gli sono state inflitte e racconta quanto accaduto alle sue ossa. Il corpo è, in entrambi i casi, oggetto di offese: quelle inflitte dalla morte (a Virgilio e a Manfredi), oppure da Dio, per condannare o purificare le anime. Virgilio e Manfredi pensano ai propri resti quasi con rimpianto, confermando che l’unità di materia e spirito, voluta da Dio, esprime l’unità della persona (e, infatti, verrà ristabilita il giorno del giudizio, quando avverrà la resurrezione della carne). Per questo, merita particolare rispetto il cadavere, cui va concesso l’onore della sepoltura e del rispetto dei vivi. Il corpo esprime, insomma, la sacralità della persona umana e il senso tangibile della sua interiorità. Oggi, questo tema ha assunto un nuovo significato: la scienza, infatti, può modificare in profondo la natura fisica delle persone, sin dal loro concepimento. Fra corpo e senso dell’identità (e fra scienza e morale) si apre una nuova relazione, oggetto di dibattiti pubblici e di scelte che coinvolgono ciascuno di noi.

CONCETTA RUSSO

1) Nel III canto troviamo Dante e Virgilio che sostano ai piedi della montagna del purgatorio e, appare loro una schiera di anime che avanza lentamente. I due poeti si fanno incontro a loro per chiedere informazioni sul cammino. Le anime rimangono meravigliate quando vedono l’ombra proiettata dal corpo di Dante e tutte insieme fanno un passo indietro, e Virgilio spiega loro che Dante è vivo e che sta compiendo quel viaggio per volontà di Dio.
2) Le anime che si trovano nella prima zona dell’antipurgatorio sono i negligenti. Essi sono costretti ad attendere nell’antipurgatorio, prima di essere ammessi ad espiare le loro colpe nel purgatorio, tanto tempo quanto vissero in peccato, infatti essi sono coloro che attesero l’ultimo minuto di vita per pentirsi.
3) Manfredi è il figlio dell'imperatore svevo Federico II e nacque nel 1232. Alla morte del padre divenne principe di Taranto e reggente nel regno di Sicilia, in nome del legittimo successore Corrado IV, che si trovava in Germania. Alla sua morte fu designato come successore il figlio, ma Manfredi diffuse la falsa notizia della morte di quest’ultimo e si fece incoronare a Palermo re di Sicilia. Morì nel 1266 durante lo scontro con Carlo d’Angiò.

MARIANGELA LEOTTA

1)58-102
Virgilio dice a Dante :"andiamo in quella direzione ,poiché loro si muovono lenti e tu dolce figliuolo rafforza la speranza in te." La schiera di anime è ancora lontana circa mille passi quando si accosta come dubbiosa di qualcosa, stringendosi alla parete rocciosa dell’alto monte. Allora Virgilio dice: o spiriti morti in grazia di Dio, o già destinati al Paradiso,in nome della purificazione che aspettate diteci da quale parte il monte è meno ripido da salire,perché anche al saggio dispiace perdere tempo. Dante fa una similitudine , e paragona le anime alle pecore che si muovono tutte insieme seguendo la prima.Le anime ,infatti, si avvicinano ma quando vedono che accanto a Virgilio la luce del sole non entra dentro il corpo di Dante si spaventano e fanno un passo indietro. Virgilio le rassicura "prima che voi mi dite qualcosa vi annuncio che questo che voi vedete è un corpo umano,per questo la luce del sole si interrompe per terra, non vi meravigliate se è una cosa mai accaduta ,perché costui è venuto per una speciale grazia concessagli da Dio. "Risposero le anime:"tornate indietro,procedete davanti a noi" facendo segno con il dorso delle mani.

2) Dante e Virgilio nel canto III incontrano le anime dei negligenti ovvero gli scomunicati e tra questi incontra l’anima di Manfredi che è in salvo in Purgatorio, destinato alla beatitudine celeste,nonostante la scomunica papale e grazie al pentimento in punto di morte,lui spiega a Dante che coloro che vissero scomunicati sono condannati a stare fuori del Purgatorio trenta volte il tempo trascorso in contumacia…di Santa Chiesa. Tale attesa può però essere abbreviata dalle preghiere dei vivi “preghiere di suffragio”,e per questo chiede di essere ricordato alla figlia Costanza.

3) MANFREDI
Nato intorno al 1231, figlio di Federico II di Svevia e di Bianca Lancia di Monferrato, alla morte del padre e del figlio Corrado IV seppe con saggezza reggere e consolidare lo Stato. Il 10 agosto 1258 ottenne a Palermo la corona del Regno di Sicilia, del Ducato di Puglia e del Principato di Capua prevaricando i diritti del nipote Corradino, di soli sette anni, e a onta dei divieti della Santa Sede, che pretendeva sul suo regno diritti di sovranità feudale. Continuò la politica paterna e invano i pontefici succedutisi in quegli anni lo minacciarono fulminandolo di scomuniche. La sua potenza continuò a crescere dopo la vittoria ghibellina di Montaperti, l’alleanza con le signorie dell’Italia settentrionale e il suo matrimonio con la figlia del signore dell’Epiro. Il26 febbraio 1266 morì eroicamente nella battaglia di Benevento, combattendo contro Carlo d’Angiò, chiamato in Italia dal Papa Clemente IV.


YVONNE SGROI

1. Quando Dante e Virglio sono ai piedi del monte del Purgatorio, notano vari gruppi di anime, gruppi simili a quelli delle pecorelle, che quando escono dal recinto stanno raggruppate, ciò che fa la prima faranno anche le altre.
Il termine “pecorelle” è presente nel Vangelo ed è un simbolo di innocenza, qui infatti rappresentano anime che si affidano al volere di Dio.
Quando le anime si stupiscono nel vedere Dante, Virgilio spiega che Dante è vivo e sta compiendo questo viaggio per volere Divino.

2. Nella prima zona dell’Antipurgatorio, Dante e Virgilio incontrano l’anima di Manfredi, erede di Federico II di Svevia: egli deve trascorrere nell’Antipurgatorio un periodo pari trenta volte quello vissuto sulla terra da scomunicato, la sua unica salvezza sarebbero le preghiere dei vivi che possono abbreviare la sua pena.

3. Manfredi nacque e visse a Venosa. Figlio naturale di Federico II di Svevia e Bianca Lancia. Studiò a Parigi e a Bologna; dal padre apprese l'amore per la poesia e per la scienza, amore che mantenne da re.. Alla fine del 1248 od all’inizio del 1249, la data è incerta, sposò Beatrice di Savoia, figlia del conte Amedeo IV di Savoia e di Margherita di Vienne, da cui ebbe una figlia, Costanza (1249). Quando nel 1250 morì Federico II il principato di Taranto, la luogotenenza in Italia e il Regno di Sicilia andarano a Manfredi, affinchè il Regno di Sicilia non andasse al fratello, Corrado IV, impegnato in Germania.
Nel 1253 Napoli cadde nelle mani di Corrado. Questi divenuto ostile nei confronti di Manfredi, gli fece rinunciare a tutti i feudi minori. nel 1254 Corrado morì di malaria lasciando il figlio Corradino (ancora bambino e rimasto in Germania) sotto la tutela del papa, ma Manfredi diffuse la notizia della morte di Corradino e nel 1258, a Palermo, si fece incoronare. Ma ciò non venne riconosciuto dal Papa Alessandro IV.
Egli provò a riunire sotto il suo comando tutti i ghibellini d’Italia, ma Papa Urbano IV chiese l’intervento di Carlo D’Angiò; egli scese in Italia e affrontò Manfredi, il quale morì a Benevento dopo essere stato sconfitto.
Le sue spoglie furono profanate dal vescovo di Cosenza che le fece lasciare insepolte fuori dal regno di Sicilia.

SONIA MARINO

1) Dante e Virgilio si trovano ai piedi della montagna del purgatorio,mentre Dante percorre mentalmente il cammin da farsi ,si accorse che una schiera di anime procedeva dietro di loro ma tanto erano lente che sembravano lontane mille passi - qui Dante paragona le anime al gregge che seguono tutte la prima pecora -e quando le pecore vedono l'ombra proiettata da Dante si stupiscono e tutte fanno un passo indietro, Virgilio spiega loro che Dante è vivo e che sta facendo un viaggio per volontà di Dio.
2)Dante e Virgilio incontrano un'anima che rivelera' loro di essere Manfredi .Egli è costretto a passare nell'antipurgatorio pari tempo quanto ne ha vissuto nel peccato anche se nell'ultimo minuto di vita si è pentito ,ciò che potrà ridurre la sua pena saranno le preghiere dei vivi.
3)Manfredi figlio di Federico II di Svevia nacque nel 1232 .Alla morte del padre nel 1250 divenne reggente del regno di Sicilia al posto del fratello CorradoIV che si trovava in Germania .Alla morte del fratello la corona spettava al figlio ma Manfredi diffuse una falsa notizia di morte e si fece incoronare a Palermo re di Sicilia . Nel 1266 muore durante scontro contro Carlo D'Angiò.

ANTONELLA SALVA'
1)Dante e Virgilio arrivano finalmente alla montagna del purgatorio. Il problema è che è troppo ripida, così ripida che in confronto ad essa i dirupi più scoscesi d'Europa (che si trovavano in Liguria e nell'Appennino emiliano) sembrano delle scale facili da salire. Impossibilitati a salire Dante e Virgilio provano a trovare una soluzione. Virgilio prova con la sua ragione e volge gli occhi verso il basso mentre Dante guarda verso l'alto e scorge delle anime di penitenti. Dice al maestro che se non riesce a trovare una soluzione da solo forse è meglio chiedere alle anime dove la salita è meno ripida. Virgilio e Dante si dirigono verso le anime che il Dante narratore paragona a un gregge. Questo "gregge" va molto lento e si trovava a una grande distanza dai poeti. Dante scopre che queste anime sono gli scomunicati.

2)Tra gli scomunicati c'è un bel giovane con due ferite, una delle quali al petto, descritto come "biondo... e bello e di gentile aspetto, ma l'un de' cigli un colpo avea diviso". Questo bel giovane chiede a Dante se lo ha mai visto. Dante risponde di non sapere chi sia e il giovane gli racconta la sua storia. Egli è Manfredi, figlio di Federico II e nipote di Costanza d'Altavilla. Manfredi cita la figlia Costanza, madre di Giacomo e Federico, rispettivamente re di Aragona e di Sicilia. Manfredi racconta "orribil furon li peccati miei" e di essere stato scomunicato da vari papi. Morì in battaglia nel 1266 a Benevento ma in punto di morte si pentì e il Signore lo perdonò mandandolo nel Purgatorio invece che nell'Inferno. I papi invece non lo perdonarono, tanto che il vescovo di Cosenza, mandato da papa Clemente IV, fece dissotterrare le sue ossa, che furono poi trasportate a ceri spenti e capovolti, come nei funerali degli eretici, lungo il fiume Verde (identificabile secondo Benvenuto e molti altri critici moderni con il Liri o il Garigliano). Manfredi chiede a Dante di raccontare quello che ha detto a sua figlia Costanza poiché nel mondo dei vivi si racconta una storia non vera sul suo conto e poi di chiederle di pregare per lui, perché più si prega per un'anima del Purgatorio più il tempo di espiazione diminuisce. Con Manfredi riusciamo a capire la grande bontà di Dio che abbraccia tutti coloro che si sono pentiti in fin di vita.

3)Manfredi nasce intorno al 1231, fu figlio naturale di Federico II e di Bianca Lancia di Monferrato.Principe di Taranto, Manfredi sposò nel 1249 Bianca di Savoia, marchesa del Monferrato, da cui ebbe la figlia Costanza, sposata nel 1262 a Pietro III d'Aragona. Morto il padre (1250), Manfredi tenne i domini degli Svevi in Italia come luogotenente del fratello Corrado IV, che temendo la sua potenza esiliò i Lancia e, morendo (1254), affidò la Sicilia a Bertoldo di Hohenburg. Questi lasciò la reggenza a Manfredi che, scomunicato da Innocenzo IV (1254), tenne il regno per il nipote Corrado, ancora minorenne, mentre truppe pontificie invadevano la Campania. La lotta continuò con il nuovo papa Alessandro IV. Nel 1258, sparsa la voce che Corrado era morto, Manfredi si fece incoronare re di Sicilia (10 agosto) a Palermo e fu ben presto riconosciuto capo dei ghibellini d'Italia. Fu scomunicato dal papa nel 1259 e di nuovo nel 1260 ma nel frattempo con il suo appoggio i ghibellini toscani si erano imposti a Firenze con la battaglia di Montaperti; la parte di Manfredi otteneva altri successi nel Veneto e suoi vicari reggevano la marca d'Ancona e il ducato di Spoleto. Le sue seconde nozze con Elena, figlia del despota d'Epiro, accrebbero il suo prestigio. Papa Urbano IV offrì allora la corona di Sicilia usurpata da Manfredi a Carlo d'Angiò, fratello di Luigi IX il Santo, re di Francia. Carlo nel 1265 venne in Italia e, incoronato a Roma da Clemente IV re di Sicilia (1266), mosse contro Manfredi appoggiato dai Saraceni e da poche truppe tedesche. Il 6 febbraio 1266, nella battaglia di Benevento, Manfredi morì e nel regno s'insediò Carlo d'Angiò.

STEFANO CONTI NIBALI

1] Nel canto terzo del purgatorio Dante e Virgilio si incamminano verso il monte. Giunti ai piedi della montagna appare davanti ai due una schiera di anime che procede lentamente (la lentezza del loro cammino è in relazione al fatto che in vita tardarono a pentirsi). Dante e Virgilio si avvicino per chiedere informazioni sul cammino. Le anime appena vedono l’ombra del corpo di Dante , indietreggiano per la sorpresa di trovare nel purgatorio un vivo. Virgilio conferma alle anime che Dante è vivo, e come precisato a Catone, sta compiendo uno straordinario viaggio per volontà di divina.

2] Le anime che Dante e Virgilio incontrano nell’antipurgatorio sono i negligenti. La pena che devono scontare consiste nel fatto che loro tardarono a pentirsi in vita, ora è ritardato l’inizio dell’espiazione delle loro colpe.

3] Manfredi era figlio di Federico II di Sveglia e di Bianca Lancia, nacque nel 1232. Alla morte del padre (1250)divenne principe di Taranto e reggente del Regno di Sicilia, in quanto Corrado IV si trovava in Germania. Alla morte di questo fu designato come suo successore il figlio ma Manfredi inventò la notizia della morte di Corradino (figlio di Corrado IV), e così si fece incoronare a Palermo re di Sicilia. (Manfredi prega il poeta (Dante), che quando tornerà nel mondo dei vivi, di riferire a sua figlia Costanza che egli è tra le anime salve.)

MERY PAFUMI

1.Ci troviamo ai piedi della montagna del purgatorio, dove vi è una schiera di anime che alla vista di Dante e Virgilio hanno una reazione paurosa che li porta a retrocedere velocemente. Queste anime vengono paragonate alle pecore che uscendo dal recinto seguono la prima. La similitudine con le pecore simboleggia la concordia e la disponibilità. Virgilio, prima che le anime parlino, spiega che Dante è vivo e che sta compiendo il viaggio per volontà divina. Le anime a questo punto, sentendo quelle parole, non chiedono altre informazioni e con le mani indicano la strada, questo perché siamo appunto nel regno della fiducia e della concordia.


2.La prima anima che Dante e Virgilio incontrano è quella di Manfredi, figlio di Federico II, noto come grande condottiero dei Ghibellini. Manfredi chiede a Dante di riferire alla figlia Costanza, che lui si trova in purgatorio e chiederle se può pregare per lui affinchè con le sue preghiere possa diminuire gli anni da scontare.

3.Manfredi, nato a Venosa nel 1232, figlio di Federico II e di Bianca Lancia. Studia a Parigi e Bologna, ereditando dal padre l’amore per la poesia e per la scienza, che manterrà anche negli anni del trono. Alla morte del padre, avvenuta nel 1250, Manfredi diventa padrone del principato di Taranto e gli viene affidata la luogotenenza in Italia, soprattutto quella in Sicilia, finchè non fosse giunto il fratello legittimo Corrado IV che in quel momento era impegnato in Germania. Con il suo inserimento in Sicilia vi fu subito uno scontro con il pontefice, perché quest’ultimo riteneva il territorio siciliano come proprio vassallo. A questo scontro, seguì la scomunica, avvenuta nel luglio del 1254, solo che Manfredi, grazie alla diplomaticità, riesce a trovare un accordo con il pontefice che ritira subito la scomunica. Dopo aver partecipato a varie guerre, il 2giugno 1254, sposa Elena Ducas, da cui nasceranno 5 figli. Successivamente con l’elezione del papa Urbano IV, per Manfredi arriva un’altra scomunica, che lo porterà alla perdita del Regno di Sicilia che viene assegnato a Riccardo di Cornovaglia. Nel 1266 si svolse la Battaglia di Benevento, dove le milizie siciliane e saracene difesero il proprio re, mentre quelle italiane abbandonarono Manfredi che morì combattendo.


SANDRO DEL POPOLO

1)Quando Dante e Virgilio si avvicinano a questo gruppo di anime,essi reagiscono stramente. La loro reazione inizialmente è di timore infatti indietreggiano. Ma successivamente si tranquillizzano e rispondono anche se a gesti alle domande di Dante e Virgilio.

2)Sono le anime dei negligenti. La pena che tali anime devono scontare è un ritardo dell'espiazione del peccato in quanto essi in vita tardarono a pentirsi dei propri peccatti

3) Manfredi è figlio delll'imperatore Federico II e di una donna dell'aristocrazia siciliana, Bianca Lana.
Egli visse una vita piena di travagli, e orientata sulla ricerca del potere, della violenza e della lussuria. Egli stesso ammette i suoi peccati dicendo a Dante: "Orribil furon li peccati miei". Tuttavia,in punto di morte egli si pentì di queste cattive azioni e chiese scusa a Dio.

RICCARDO SPADARO

1. Nel canto terzo del purgatorio Dante e Virgilio si incamminano verso il monte del Purgatorio in cui ogni anima viene purificata dai suoi peccati. Giunti ai piedi della montagna appare davanti ai due una schiera di anime che procede lentamente che rappresentano le persone che in vita tardarono a pentirsi dei loro peccati ma queste appena vedono l’ombra del corpo di Dante , indietreggiano per la sorpresa di trovare nel purgatorio un vivo. Virgilio conferma allora alle anime che Dante è vivo e che sta compiendo uno straordinario viaggio per volontà di divina.

2] Le anime che Dante e Virgilio incontrano nell’antipurgatorio sono i negligenti. La pena che devono scontare consiste nel fatto che loro tardarono a pentirsi in vita e che dovranno aspettare trenta volte in più il tempo che perdettero per pentirsi sulla terra a meno chè questo non sia accorciato dalle preghiere dei vivi.
3] Manfredi era figlio di Federico II di Sveglia e di Bianca Lancia. Alla morte del padre divenne principe di Taranto e reggente del Regno di Sicilia. Manfredi prega Dante , che quando tornerà nel mondo dei vivi, di riferire a sua figlia Costanza che egli è tra le anime salve.





























venerdì 13 novembre 2009

Canto III Purgatorio

CANTO III

Avvegna che la subitana fuga
dispergesse color per la campagna,
rivolti al monte ove ragion ne fruga,

i' mi ristrinsi a la fida compagna:
e come sare' io sanza lui corso?
chi m'avria tratto su per la montagna?

El mi parea da sé stesso rimorso:
o dignitosa coscienza e netta,
come t'è picciol fallo amaro morso!

Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
che l'onestade ad ogn'atto dismaga,
la mente mia, che prima era ristretta,

lo 'ntento rallargò, sì come vaga,
e diedi 'l viso mio incontr'al poggio
che 'nverso 'l ciel più alto si dislaga.

Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
rotto m'era dinanzi a la figura,
ch'avea in me de' suoi raggi l'appoggio.

Io mi volsi dallato con paura
d'essere abbandonato, quand'io vidi
solo dinanzi a me la terra oscura;

e 'l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,
a dir mi cominciò tutto rivolto;
«non credi tu me teco e ch'io ti guidi?

Vespero è già colà dov'è sepolto
lo corpo dentro al quale io facea ombra:
Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto.

Ora, se innanzi a me nulla s'aombra,
non ti maravigliar più che d'i cieli
che l'uno a l'altro raggio non ingombra.

A sofferir tormenti, caldi e geli
simili corpi la Virtù dispone
che, come fa, non vuol ch'a noi si sveli.

Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.

State contenti, umana gente, al quia;
ché se potuto aveste veder tutto,
mestier non era parturir Maria;

e disiar vedeste sanza frutto
tai che sarebbe lor disio quetato,
ch'etternalmente è dato lor per lutto:

io dico d'Aristotile e di Plato
e di molt'altri»; e qui chinò la fronte,
e più non disse, e rimase turbato.

Noi divenimmo intanto a piè del monte;
quivi trovammo la roccia sì erta,
che 'ndarno vi sarien le gambe pronte.

Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole e aperta.

«Or chi sa da qual man la costa cala»,
disse 'l maestro mio fermando 'l passo,
«sì che possa salir chi va sanz'ala?».

E mentre ch'e' tenendo 'l viso basso
essaminava del cammin la mente,
e io mirava suso intorno al sasso,

da man sinistra m'apparì una gente
d'anime, che movieno i piè ver' noi,
e non pareva, sì venian lente.

«Leva», diss'io, «maestro, li occhi tuoi:
ecco di qua chi ne darà consiglio,
se tu da te medesmo aver nol puoi».

Guardò allora, e con libero piglio
rispuose: «Andiamo in là, ch'ei vegnon piano;
e tu ferma la spene, dolce figlio».

Ancora era quel popol di lontano,
i' dico dopo i nostri mille passi,
quanto un buon gittator trarria con mano,

quando si strinser tutti ai duri massi
de l'alta ripa, e stetter fermi e stretti
com'a guardar, chi va dubbiando, stassi.

«O ben finiti, o già spiriti eletti»,
Virgilio incominciò, «per quella pace
ch'i' credo che per voi tutti s'aspetti,

ditene dove la montagna giace
sì che possibil sia l'andare in suso;
ché perder tempo a chi più sa più spiace».

Come le pecorelle escon del chiuso
a una, a due, a tre, e l'altre stanno
timidette atterrando l'occhio e 'l muso;

e ciò che fa la prima, e l'altre fanno,
addossandosi a lei, s'ella s'arresta,
semplici e quete, e lo 'mperché non sanno;

sì vid'io muovere a venir la testa
di quella mandra fortunata allotta,
pudica in faccia e ne l'andare onesta.

Come color dinanzi vider rotta
la luce in terra dal mio destro canto,
sì che l'ombra era da me a la grotta,

restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
e tutti li altri che venieno appresso,
non sappiendo 'l perché, fenno altrettanto.

«Sanza vostra domanda io vi confesso
che questo è corpo uman che voi vedete;
per che 'l lume del sole in terra è fesso.

Non vi maravigliate, ma credete
che non sanza virtù che da ciel vegna
cerchi di soverchiar questa parete».

Così 'l maestro; e quella gente degna
«Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,
coi dossi de le man faccendo insegna.

E un di loro incominciò: «Chiunque
tu se', così andando, volgi 'l viso:
pon mente se di là mi vedesti unque».

Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.

Quand'io mi fui umilmente disdetto
d'averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
e mostrommi una piaga a sommo 'l petto.

Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond'io ti priego che, quando tu riedi,

vadi a mia bella figlia, genitrice
de l'onor di Cicilia e d'Aragona,
e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice.

Poscia ch'io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a quei che volontier perdona.

Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.

Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in Dio ben letta questa faccia,

l'ossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia de la grave mora.

Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde,
dov'e' le trasmutò a lume spento.

Per lor maladizion sì non si perde,
che non possa tornar, l'etterno amore,
mentre che la speranza ha fior del verde.

Vero è che quale in contumacia more
di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta,
star li convien da questa ripa in fore,

per ognun tempo ch'elli è stato, trenta,
prieghi non diventa.
in sua presunzion, se tal decreto
più corto per buon pr
Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
revelando a la mia buona Costanza
come m'hai visto, e anco esto divieto;

chè qui per quei di là molto s'avanza. ché qui per quei di là molto s'avanza».

LABORATORIO DANTESCO

1.Descrivete gli atteggiamenti del gruppo di anime alla vista di Dante e Virgilio e riassumete
le parole che Virgilio indirizza loro.(vv.58-102)

2.Quali anime Dante e Virgilio incontrano nella prima zona dell'Antipurgatorio?A quale pena accessoria sono sottoposte prima di salire al monte?(vv.133-142)

3.Ricostruite il profilo storico di Manfredi.

lunedì 9 novembre 2009

LA RELATIVITA' DEI VALORI E DELLA LETTERATURA


LUDOVICO ARIOSTO


Ariosto appare come l’incarnazione più genuina dello spirito del Rinascimento. Ricerca la libertà, è interprete di un nuovo tipo di spirito, quello laico. Dice no ai dogmi. La Corte del 500 è l’ambiente ideale per una produzione letteraria come quella di A. poiché era formata da cavalieri, cortigiani e borghesi. Autore lontano da pose letterarie e autocelebrative, lontano dagli encomi e molto realista: non si illude circa il potere e la fama degli intellettuali. La scrittura nel 500 assume il valore di mondano strumento di autodifesa o di arma d’attacco. Rappresenta, inoltre, nel suo grado più elevato, il tentativo di mettere ordine in una realtà complessa e ambivalente. Tuttavia anche la scrittura e i suoi valori sono sottoposti alle leggi della relatività generale, e da qui nascono il distacco e l’ironia che dominano lo stile di Ariosto. L’abilità dell’Ariosto risiede nel saper costruire un’opera che nelle sue parti risponda alle regole del modello.
Le satire mettono a fuoco la condizione subalterna dell'intellettuale cortigiano agli inizi del '500.Nella satira I in particolare, Ariosto mentre giustifica il proprio rifiuto di seguire il cardinale Ippolito in Ungheria, si lancia in un'appassionata difesa della libertà individuale continuamente insidiata nella vita servizievole del cortigiano.

1.L'aurea mediocritas in Ariosto fu una soluzione espressiva e una scelta di vita.Spiegate l'affermazione.
2.Leggete l'articolo qui (Repubblica 8 novembre 2009) e commentate .

ANTONELLA SALVA'

Eugenio Scalfari nell’articolo pubblicato riprende tutta la storia prima e dopo il crollo del muro. Io invece vorrei rilevare che dopo il crollo del Muro, lo scontro fra le due Italie (anticomunista-postcomunista) si riaccende, con fiammate inimmaginabili fino a quel momento. Il conflitto si trasforma in un feroce regolamento di conti. La sinistra postcomunista cavalca con spregiudicatezza le inchieste della magistratura che azzerano la politica del governo. Per il fronte anticomunista è una golpe, io credo che per riequilibrare il potere giudiziario di sinistra nasca quello mediatico della destra.Sono Berlusconiana convinta!