Siamo su Dienneti

venerdì 23 maggio 2008

Morir di fame e di sete....(Cap.XXVIII)

La carestia si verifica ogni volta che in una regione o in un paese vengono a mancare viveri sufficienti a garantire la sopravvivenza della popolazione, come accadde appunto nel milanese negli anni in cui si svolge la nostra storia.
1 Delineate le cause di questo fenomeno e le conseguenze.
2 Individuate una realtà di questo genere nella società contemporanea, e riferite i tratti essenziali.
3 Il tema della fame prodotta dalla carestia è già comparso nei capitoli IV e XVII. Ritrovate i passi in questione e sviluppate un confronto su questi aspetti.
4 Leggere e problematizzare la critica seguente di A.Momigliano


LE MISERIE DELLA FAME
..] nel capolavoro manzoniano la storia milanese del secolo XVII non è secondaria né riguardo allo spirito né riguardo all'arte di tutto il romanzo. Questi fatti sono continuamente infusi d'un'austera costernazione cristiana, apprezzati con una sapiente e dolorosa indulgenza, e assommano in sé, non meno che le vicende dei protagonisti, l'amara, rassegnata, penetrante esperienza che del mondo aveva acquistato il Manzoni nelle sue osservazioni solitarie.
Quand'egli ritrae il dolore, senti nella sua pittura non so che di meditativo e di pietoso che diffonde intorno alle sue parole una melanconica austerità religiosa. Non si sofferma: il suo sospiro fugace è l'espressione d'un'anima che sa che la vita è un esercizio di dolori, ma che ogni angoscia terrena è misurata dal tempo. Le sue rassegnate contemplazioni di tormenti umani sottintendono sempre la certezza del coro di Ermengarda: « Fuor della vita è il termine - del lungo tuo martir ».
Egli ha un'inesauribile sapienza delle nostre sventure: le pagine sulle molteplici miserie della carestia ne racchiudono forse la parte maggiore. Sono d'un'evidenza rapida, piene di espressioni stringenti, dove balena di quando in quando un sorriso senza allegrezza, come un amaro senso delle stranezze delle sorti umane. Tutte le gradazioni di quelle sofferenze, più le morali che le fisiche, sono segnate con una precisione intima, come se il Manzoni le patisse lui stesso e ne provasse la triste diversità. La fermezza dei tratti lascia un senso di religioso raccoglimento: la pietà umana non è mai disgiunta dalla misura che la fede dà ad ogni sentimento. Non c'è particolare fermato dallo sguardo, che non risuoni nel cuore e non si atteggi in linee meste e meditabonde. Non si saprebbe trovare altre pagine che dessero, con uguale scarsezza di riflessioni dolorose, un uguale senso di pietà e di oppressione, pur senza sottintendere una parola disperata. C'è la sobrietà di chi ha visto miserie innumerevoli, tutte diverse e tutte ugualmente terribili, e perciò non può fermarsi a lungo su nessuna; ma ha l'animo colorato di quello spettacolo e ne ha la mestizia nella voce; e le enumera con una tristezza spenta, che rifugge dai particolari, perché il significato è solo in quella quantità di miseria, in quell'estremo che si ravvisa non in quella o in questa sventura ma in tutte. La tinta è un grigio uniforme, che stringe il cuore e tiene lo spirito in una fissità dolorosa, in uno sgomento dietro il quale non ci può essere che il pensiero di Dio.
Quello stesso che finora l'ha negato, è dominato da un'umiltà nuova, soggiogato da qualcosa che gli sta sopra e che egli ignora. I bravi, « domati dalla fame non gareggiando con gli altri che di preghiere, spauriti, incantati, si strascicavan per le strade che avevano per tanto tempo passeggiate a testa alta, con isguardo sospettoso e feroce, vestiti di livree ricche e bizzarre, con gran penne, guarniti di ricche armi, attillati, profumati; e paravano umilmente la mano, che tante volte avevan alzata insolente a minacciare, o traditrice a ferire » . Forse in tutto il quadro non c'è nulla di più evangelico e di più profondo che questa misurata contrapposizione delle due vite, da cui scaturisce la certezza d'una giustizia che non manca mai. È quella stessa meditazione cristiana sui rivolgimenti provvidenziali della sorte umana, da cui nascono lo splendore e la rovina di Napoleone, l'ebbrezza e lo squallore d'Ermengarda, la prepotenza e l'impotenza di don Rodrigo: « Ben talor nel superbo viaggio...»
La persona, l'ambiente, le linee cambiano: la fonte vitale della loro poesia è unica.

ATTILIO MOMIGLIANO



5 commenti:

Anonimo ha detto...

Risposta prima domanda.
Dopo il tumulto di San Martino a Milano sembrava che fosse successo un miracolo, infatti sembrò che stava tornando l’abbondanza, ma questa illusione durò poco: il governo non avendo mezzi per importare grano a sufficienza pensò di risolvere la situazione mantenendo basso il prezzo del pane con delle leggi stabilite, ma ciò portò allo spreco del poco grano che vi era a disposizione. Man mano chiusero le fabbriche e le botteghe. Dappertutto si vedevano persone licenziate, smagriti che chiedevano elemosina. La fame colpiva anche le persone più agiate e i contadini fuggendo dalle loro case giungevano in città con la speranza di trovare asilo e soccorso. I morti per le strade si facevano sempre numerosi ; qualche soccorso avveniva da qualche persona generosa e dal cardinale Federigo Borromeo, che incaricò dei giovani preti di portare aiuti e assistenza ai più colpiti.
Una scena simile a questa del XXVIII capitolo l’abbiamo trovata nel IV capitolo, che si apre con la descrizione di Pescarenico, un paese che sorge sulla riva sinistra dell’Adda. Il cielo era sereno, man mano che il sole si alzava dietro il monte si vedeva la sua luce, vi era un venticello sereno che staccava dai rami le foglie secche e brillavano le foglie delle viti. Pescarenico appare bello, ma era segnato dalla carestia, infatti per strada si incontravano mendichi laceri e macilenti che tendevano la mano per chiedere l’elemosina.
Le cause principali della carestia erano due: una naturale e una umana. Le cause naturali si erano aggiunte alle colpe degli uomini: una grande siccità aveva reso ancor più scarso il raccolto già misero per le molte terre abbandonate dai contadini a causa della guerra per la successione al ducato di Mantova. Le derrate destinate all’esercito, lo spreco e le razzie delle truppe aggravavano ancora di più la situazione e l’irresponsabilità e l’incapacità delle truppe la resero incandescente.



Concetta Russo II E

Anonimo ha detto...

Salve proff.

nel XXVIII capitolo, si ci ritrova in una situazione disastrosa. non si ha modo di portare il grano necessario per la popolazione, e si ricorse ad un falso aiuto. con delle leggi si abbassò il prezzo del pane, ma ben lungi dal risolvere la situazione, questo metodo portò allo sperpero di quel poco grano che si aveva a disposizione. la situazione costrinse molti a chiudere le fabbriche e le botteghe in cui lavoravano, e, per strada, non mancava mai di trovare la gente deperita chiedere la carità, persino i benestanti ebbero problemi a causa della fame, e i soli aiuti venivano dal cardinale Borromeo e da qualche sporadica persona generosa. la situazione si incominciò a delineare già molto tempo prima, nel quarto capito troviamo lo "stridere" tra un ameno paesaggio e i miserevoli mendicanti, laceri ed affamati.
una similitudine adesso la troviamo a Napoli. il problema "Rifiuti" fu dichiarato, all'inizio come una banalità, facilmente risolvibile. solo ora, che il problema è diventato così evidente, i fatti vengono descritti più precisamente, e con più realtà.

buona serata

Mirko II E

Anonimo ha detto...

Ecco qui la risposta!!

Nel XXVIII capitolo ricompare il tragico tema della carestia, come abbiamo potuto osservare in alcuni precedenti capitoli.

Nel IV capitolo la carestia viene simboleggiata dalla natura: " la scena era lieta: ma ogni figura d'uomo che vi apparisse rattristava lo sguardo e il pensiero.Ogni tanto s'incontravano mendichi(poveri) laceri e macilenti, o invecchiati dal mestiere, o spinti allora dalla necessità a tender la mano", ciò determina un contrasto tra la natura e gli uomini, in primo luogo troviamo la visione di una natura che denota una scena felice,mentre in contrapposizione a ciò troviamo la figura dell'uomo che separa nettamente la prima impressione lieta della realtà triste e cupa della carestia.
Un altro passo che denota le origini della carestia lo troviamo nel XII capitolo ed è: "Era quello il secondo anno di raccolta scarsa", qui il Manzoni fa capire che è iniziato, già da tempo, una sorta di declino dovuto alla "quasi fine" dei viveri.
"il guasto e lo sperperio della guerra" per la successione del ducato di Mantova e il rincaro del prezzo della farina e di conseguenza del pane, aggravavano il fenomeno della carestia.
Ma il popolo non crede alla carestia: l'opinione più diffusa era che si trattasse dell'inganno di incettatori, proprietari terrieri e fornai per far alzare il prezzo delle derrate alimentari.La penuria aumentava sempre di più, e il popolo ne attribuiva la causa alla leggerezza dei provvedimenti.

P.S.:Spero che sia corretto!

Rossana Zagami II E

riccardo ha detto...

Salve prof,
ecco qui la mia risposta.
Nel XXVIII capitolo ricompare il tragico tema della carestia, come abbiamo potuto osservare in alcuni precedenti capitoli come il quarto e il dodicesimo dove viene rappresentato un paesaggio spoglio con le persone dei dintorni che appaiono a Fra Cristoforo magre e povere infatti in questi capitoli le cause della carestia secondo il Manzoni sono date da due fattori,uno naturale che viene evidenziato dal secondo anno di raccolta scarsa dalle messe del 1628 che risulta più misera alla precedente e in parte per maggior contrarietà delle stagioni infatti nel cammino di fra Cristoforo verso la casa di Lucia viene evidenziato il paesaggio spoglio autunnale dove ogni persona che incontra appare stanca e magra per la carestia,inoltre l'altro fattore,causa di carestia viene data alla colpa degli uomini come il guasto e lo sperperio di quella guerra di quell'anno dove quindi le persone essendo impegnate in guerra sono costrette a lasciare i propri poderi che rimangono incolti e abbandonati,inoltre alla carestia influisce anche il comportamento insensato delle truppe di occupazione e le provviste per l'esercito che toglievano quindi alla popolazione il poco cibo rimasto mentre le conseguenze che si ebbero da questa carestia furono il rincaro del pane e la penuria che ebbero effeti negativi sulla popolazione infatti la stessa dando la colpa della penuria e del rincaro del pane agli incettatori di grano e ai fornai e implorando provvedimenti ai magistrati accorrono subito ai forni a chiedere il pane al prezzo tassato riempiendo la piazza e le strade trasportando con rabbia comune aizzata dai furbi che bloccano i garzoni e assaltono il forno delle grucce mettendolo sottosopra.

Rosario ha detto...

Salve prof...

Le cause della carestia,sono determinate da due fattori:
Uno naturale, dovuto allo scarso raccolto che occupa due anni di lavoro e alla continua contrarietà delle stagioni,che causano così un raccolto ancor più misero del precedente. Questo fenomeno lo si può notare quando "Fra Cristoforo" si avvia verso la casa di Lucia,dove viene evidenziato lo "spoglio" paesaggio naturale,in cui ogni persona appare sola,spenta e piena di tristezza.
Il secondo fattore che
causa "carestia" è determinato dagli uomini.Questi sono i protagonisti dello "sperperio" della guerra e dell'abbondono dei molti terreni incolti e trascurati.
Inoltre questa situazione accentua un comportamento insensato dei soldati che si ribellano per le misere provviste che li portano ad ammalarsi o a morire.
Le conseguenze che comporta questa carestia furono:la penuria e il rincaro del pane, che ebbero effetti devastanti sulla popolazione,la quale diede la colpa di questi fenomeni, ai possessori di terre e ai fornai,implorando provvedimenti ai magistrati.La popolazione così si ribella e assale i forni rubando il pane.
Buonasera prof.
Bonaccorsi Rosario