Siamo su Dienneti

martedì 5 febbraio 2008

Le miserie della fame ( Lettura critica di Attilio Momigliano)


...] nel capolavoro manzoniano la storia milanese del secolo XVII non è secondaria né riguardo allo spirito né riguardo all'arte di tutto il romanzo. Questi fatti sono continuamente infusi di un'austera costernazione cristiana, apprezzati con una sapiente e dolorosa indulgenza, e assommano in sé, non meno che le vicende dei protagonisti, l'amara, rassegnata, penetrante esperienza che del mondo aveva acquistato il Manzoni nelle sue osservazioni solitarie.
Quand'egli ritrae il dolore, sente nella sua pittura non so che di meditativo e di pietoso che diffonde intorno alle sue parole una melanconica austerità religiosa. Non si sofferma: il suo sospiro fugace è l'espressione diun'anima che sa che la vita è un esercizio di dolori, ma che ogni angoscia terrena è misurata dal tempo. Le sue rassegnate contemplazioni di tormenti umani sottintendono sempre la certezza del coro di Ermengarda: « Fuor della vita è il termine - del lungo tuo martir ».
Egli ha un'inesauribile sapienza delle nostre sventure: le pagine sulle molteplici miserie della carestia ne racchiudono forse la parte maggiore. Sono d'un'evidenza rapida, piene di espressioni stringenti, dove balena di quando in quando un sorriso senza allegrezza, come un amaro senso delle stranezze delle sorti umane. Tutte le gradazioni di quelle sofferenze, più le morali che le fisiche, sono segnate con una precisione intima, come se il Manzoni le patisse lui stesso e ne provasse la triste diversità. La fermezza dei tratti lascia un senso di religioso raccoglimento: la pietà umana non è mai disgiunta dalla misura che la fede dà ad ogni sentimento. Non c'è particolare fermato dallo sguardo, che non risuoni nel cuore e non si atteggi in linee meste e meditabonde. Non si saprebbe trovare altre pagine che dessero, con uguale scarsezza di riflessioni dolorose, un uguale senso di pietà e di oppressione, pur senza sottintendere una parola disperata. C'è la sobrietà di chi ha visto miserie innumerevoli, tutte diverse e tutte ugualmente terribili, e perciò non può fermarsi a lungo su nessuna; ma ha l'animo colorato di quello spettacolo e ne ha la mestizia nella voce; e le enumera con una tristezza spenta, che rifugge dai particolari, perché il significato è solo in quella quantità di miseria, in quell'estremo che si ravvisa non in quella o in questa sventura ma in tutte. La tinta è un grigio uniforme, che stringe il cuore e tiene lo spirito in una fissità dolorosa, in uno sgomento dietro il quale non ci può essere che il pensiero di Dio.
Quello stesso che finora l'ha negato, è dominato da un'umiltà nuova, soggiogato da qualcosa che gli sta sopra e che egli ignora. I bravi, « domati dalla fame non gareggiando con gli altri che di preghiere, spauriti, incantati, si strascicavan per le strade che avevano per tanto tempo passeggiate a testa alta, con isguardo sospettoso e feroce, vestiti di livree ricche e bizzarre, con gran penne, guarniti di ricche armi, attillati, profumati; e paravano umilmente la mano, che tante volte avevan alzata insolente a minacciare, o traditrice a ferire » . Forse in tutto il quadro non c'è nulla di più evangelico e di più profondo che questa misurata contrapposizione delle due vite, da cui scaturisce la certezza d'una giustizia che non manca mai. È quella stessa meditazione cristiana sui rivolgimenti provvidenziali della sorte umana, da cui nascono lo splendore e la rovina di Napoleone, l'ebbrezza e lo squallore d'Ermengarda, la prepotenza e l'impotenza di don Rodrigo: « Ben talor nel superbo viaggio...»
La persona, l'ambiente, le linee cambiano: la fonte vitale della loro poesia è unica.
Attilio Momigliano

Nessun commento: